“Come non finì il mondo durante il primo Trump 2016-2020, così non finirà durante il Trump 2.0”. Parola della giornalista, analista geopolitica e scrittrice, Greta Cristini, che sembra voler tranquillizzare quanti ieri hanno visto in tv l’inizio di un’epoca buia. “Con le grandi crisi e guerre in atto, assumerà un approccio pragmatico e transattivo volto a risolvere questioni, come l’Ucraina o il Medio Oriente, dove l’obiettivo è delegare gli aspetti securitari, quindi militari, agli sforzi altrui”, aggiunge Cristini.
Cristini oggi comincia l’“era Trump”, che cosa ci dobbiamo aspettare per i prossimi quattro anni, uno sconvolgimento geopolitico del globo per come lo abbiamo conosciuto fino a oggi? Quella riunita a Washington è la nuova “internazionale di destra”?
Niente di tutto questo. Come non finì il mondo durante il primo Trump 2016-2020, così non finirà durante il Trump 2.0. In politica estera, the Donald è un realista scevro da qualsiasi ideologia neoconservatrice di establishment che riconosce il principio delle sfere di influenza. Per questo, ad esempio, nel continente americano si sta concentrando nell’attualizzazione di quella che era la Dottrina Monroe. Così con le grandi crisi e guerre in atto, assumerà un approccio pragmatico e transattivo volto a risolvere questioni, come l’Ucraina o il Medio Oriente, dove l’obiettivo è delegare gli aspetti securitari, quindi militari, agli sforzi altrui – nel primo caso, a noi europei, nel secondo a Israele. È la “pace attraverso la forza”, slogan reaganiano che Trump ha stravolto. Significa ristabilire deterrenza nel mondo per pretesa imperiale di essere rispettati insieme a una definizione più ristretta degli interessi nazionali. In questo la visione di Trump prova a tenere insieme sia eccezionalismo sia un’autolimitazione delle ambizioni: Washington ha risorse e tempo non infiniti e ha priorità su cui concentrarsi che sono soprattutto interne e al massimo guardano all’Indo-Pacifico. Ne segue che per Europa e Medio Oriente va trovata una soluzione al più presto, possibilmente a lungo termine e che non richieda una manutenzione continua.
L’unica potenza che sembra in grado di contrastare gli Usa è la Cina, andiamo verso un nuovo mondo bipolare sull’asse Washington-Pechino?
In corso è una transizione egemonica figlia del declino relativo degli Stati Uniti. È certamente finito il sistema unipolare della fine della guerra fredda, ma come ogni periodo di transizione sarà una fase di disordine multipolare perché non solo lo sfidante cinese o un’altra grande potenza come la Russia, ma anche medie potenze con ambizioni regionali, come India e Turchia ad esempio, tenderanno a sfruttare il momento di caos per avanzare i propri interessi nazionali. Come? Dialogando e cooperando strumentalmente con entrambi, ma non allineandosi con nessuno dei due campi, né quello occidentale né quello del cosiddetto Sud Globale o resto del mondo a trazione sino-russa.
Che peso avranno i grandi “monarchi tecnologici” sulle politiche del nuovo presidente? Chi comanda alla Casa Bianca, in realtà?
La cosiddetta PayPal Mafia, ovvero alcuni fra i magnati tecnologici della Silicon Valley proveranno a farsi Deep State. O meglio, a penetrare gli apparati per trasformarli da dentro. In 4 anni, però, quello che riusciranno a fare al massimo potrà essere infiltrarsi e costituire una nuova corrente dell’amministrazione dello Stato americano. Con il DOGE, il Dipartimento per l’efficienza governativa affidato a Elon Musk, quest’ultimo e Trump perseguono obiettivi comuni: svuotare dall’interno il peso burocratico di certe agenzie che secondo la loro visione costituiscono un fardello tecnocratico e antidemocratico, nonché liberarsi di quella frangia di funzionari troppo radicalizzati ideologicamente a sinistra. Finché vedremo deregulation e purghe sapremo che i due vanno d’accordo. Ma Musk e Trump hanno visioni diametralmente su diversi punti e Trump sta già provando a contenerlo. Trump ha detto che il Doge lavorerà solo fino al 4 luglio 2026.
La premier Giorgia Meloni, presente a Washington, si è da subito proposta come “testa di ponte” di The Donald in Eu. Ma quale potrebbe essere il suo ruolo?
Difficile dirlo con precisione perché alcuni dossier di interesse nazionale italiano non possono essere affrontati se non di concerto con altri governi europei, Germania, Francia e paesi mediterranei su tutti. Certo è che in un periodo di forte crisi dell’asse renano e delle leadership di Parigi e Berlino, Meloni fa bene ad accreditarsi come leader di un paese stabile. Trump non crede nell’Europa e soprattutto non crede nel multilateralismo. Perseguire risultati per via bilaterale sembra essere l’unico modo per trattare con lui. Il problema è che in due, il rapporto di subalternità fra Roma e Washington è ancora più evidente. Alle capacità negoziali di Meloni il compito di portare a casa qualcosa.
Ammettendo che Meloni diventi la “donna” di Trump in Europa, non c’è il forte rischio che nel caso di una guerra commerciale Usa/Ue l’Italia possa andarci di mezzo? Non è un azzardo per la premier?
Certo, è un forte rischio. Alternative? Non ne vedo. Bisognerà poi vedere quanto Trump creda sul serio che una guerra commerciale ai prodotti europei sia la soluzione nel lungo termine per far ripartire la macchina industriale e manifatturiera statunitense. La seconda priorità dichiarata nel suo discorso dopo l’immigrazione è abbattere l’inflazione e questo non si fa con dazi e tariffe. Inoltre, i governi europei restano anche i suoi più fidi alleati oltre a Giappone, Israele, Canada e Australia. Capisco la frustrazione americana, da un lato, ma andarci troppo pesante con noi significa erodere un soft power di cui Washington ha ancora bisogno. Russia e Cina non attendono altro che incunearsi fra le faglie dell’Occidente per eroderne la coesione.
Quali saranno i primissimi fronti di intervento di Trump, immigrazione (quindi fronte interno) oppure vorrà subito dare un messaggio al mondo intervenendo sull’Ucraina?
Mi aspetto di tutto, fra ordini esecutivi scenografici e telefonate o incontri con Putin. Risolvere la guerra in Ucraina però prenderà tempo: il Cremlino sarà un osso duro, vuole a tutti i costi la neutralità del territorio ucraino e ridisegnare gli assetti securitari del Vecchio Continente richiederà un negoziato e un accordo ben più ampio che non si fermerà alle concessione territoriali che probabilmente Kiev dovrà fare a Mosca nel Donbas.