La crisi istituzionale che ha scosso la Corea del Sud negli ultimi mesi continua a produrre effetti inquietanti. L’ultimo episodio, ennesima coda giudiziaria e politica dopo la destituzione del presidente Yoon Suk-yeol, accusato di aver tentato di proclamare lo stato di legge marziale lo scorso dicembre, è stato il confronto – durato oltre cinque ore – tra agenti di polizia e funzionari del Servizio di sicurezza presidenziale (PSS), avvenuto presso il quartier generale dell’ufficio presidenziale a Yongsan, nel cuore di Seoul.
Secondo quanto si apprende, la squadra speciale d’investigazione della polizia sudcoreana ha cercato di eseguire un mandato di perquisizione per accedere al server telefonico sicuro della presidenza e agli uffici del PSS trovando la ferma opposizione del servizio di sicurezza presidenziale. L’operazione rientra nell’ambito di un’indagine avviata all’inizio dell’anno, che ipotizza il tentativo dell’allora presidente Yoon di ostacolare l’esecuzione di un mandato di arresto nei suoi confronti.
Stando a quanto riportato dall’agenzia Yonhap, l’irruzione è stata inizialmente ostacolata dal rifiuto della sicurezza presidenziale di collaborare con le forze dell’ordine, generando un pericoloso braccio di ferro tra due apparati dello Stato.
Corea del Sud, alta tensione tra la polizia e gli agenti di sicurezza dell’ex presidente Yoon
Il capo ad interim del PSS, Kim Seong-hoon, è accusato di aver impedito, a gennaio, l’arresto dell’ex presidente presso la sua residenza ufficiale. Nonostante la gravità delle accuse – tra cui insurrezione e ostruzione della giustizia – un tribunale di Seoul ha recentemente respinto la richiesta di emettere mandati di arresto nei confronti di Kim e di Lee Kwang-woo, responsabile della divisione guardie del corpo del PSS.
Le tensioni si inseriscono in un contesto politico e istituzionale estremamente delicato per la Corea del Sud, già provata dalla crisi costituzionale che ha condotto alla rimozione di Yoon dalla presidenza. Al centro delle indagini, oltre all’ex capo dello Stato, figura anche l’ex ministro dell’Interno Lee Sang-min, accusato di coinvolgimento in presunti piani insurrezionali. Le autorità di polizia hanno confermato che anche i filmati delle telecamere di sorveglianza dell’ufficio presidenziale saranno analizzati nell’ambito dell’inchiesta.
L’episodio odierno solleva nuovi interrogativi sullo stato di diritto e sulla separazione dei poteri in un Paese che, pur vantando una solida tradizione democratica, si trova oggi al centro di una crisi senza precedenti.