COP16 di Roma: la biodiversità appesa a un filo tra promesse e finanziamenti

Un vertice decisivo tra promesse e realtà: la COP16 cerca fondi e accordi per salvare la biodiversità. Mentre le tensioni globali aumentano.

COP16 di Roma: la biodiversità appesa a un filo tra promesse e finanziamenti

Tre giorni per salvare la biodiversità o, almeno, per decidere come provare a farlo. La COP16 sulla biodiversità, che si apre oggi a Roma, è il tentativo di rimediare al fallimento dei negoziati dello scorso novembre in Colombia. Ma la partita si gioca su un terreno instabile, dove le promesse fatte finora rischiano di crollare sotto il peso delle tensioni geopolitiche e delle divisioni tra Nord e Sud del mondo.

Un obiettivo ambizioso: trovare 200 miliardi all’anno

Al centro del summit c’è la questione finanziaria: per arrestare la perdita di biodiversità servono almeno 200 miliardi di dollari all’anno entro il 2030. Finora, i governi hanno preferito accumulare dichiarazioni di intenti piuttosto che stanziare fondi concreti. Gli Stati del Sud globale chiedono un fondo dedicato per la biodiversità, uno strumento che semplifichi l’accesso ai finanziamenti e garantisca risorse a chi ne ha più bisogno. Ma i paesi ricchi, come sempre, frenano: temono di doversi accollare la maggior parte dell’onere economico.

Il ritorno di Trump e l’ombra sul multilateralismo

Gli equilibri internazionali rendono il negoziato ancora più complesso. Il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca ha già avuto un effetto destabilizzante: gli Stati Uniti non hanno mai ratificato il trattato sulla biodiversità, ma il loro ruolo nei finanziamenti internazionali è cruciale. Con la nuova amministrazione americana più ostile agli accordi multilaterali e meno incline a sostenere economicamente la conservazione della natura, il rischio è che le trattative a Roma si traducano in un nulla di fatto.

La scommessa di Greenpeace e le proteste della società civile

Greenpeace e altre associazioni ambientaliste hanno già alzato la voce. Davanti alla sede della FAO, gli attivisti hanno inscenato una protesta con gigantesche tessere del domino, a simboleggiare l’effetto a catena della distruzione della biodiversità. «Se cade la natura, casca il mondo», si legge sugli striscioni. Il messaggio è chiaro: servono soldi veri, non solo impegni di facciata.

Anche Legambiente ha lanciato un allarme: in Italia, 58 ecosistemi sono a rischio e il governo non ha fatto passi concreti per raggiungere gli obiettivi della Strategia europea per la biodiversità 2030. Nessuna nuova area protetta è stata creata e le azioni per contrastare il degrado ambientale sono ferme.

La posta in gioco: biodiversità ed economia globale

Dietro le discussioni di questi giorni c’è una realtà economica innegabile: oltre la metà del PIL mondiale dipende dalla natura. La perdita di biodiversità non è solo una questione ecologica, ma un disastro economico annunciato. Gli impollinatori, come api e farfalle, garantiscono la produzione di colture agricole per un valore compreso tra 235 e 577 miliardi di dollari ogni anno. Le risorse ittiche, vitali per milioni di persone, superano i 150 miliardi di dollari annui. Ignorare questa crisi significa scavarsi la fossa.

Un accordo possibile?

Il rischio che la COP16 si concluda con un nuovo fallimento è concreto. A Cali, in Colombia, i negoziati si sono arenati su un testo di compromesso inaccettabile per entrambe le parti. Ora si tenta una nuova mediazione: la presidenza colombiana della COP16 ha proposto un meccanismo flessibile che preveda una roadmap per valutare e migliorare i finanziamenti esistenti, con la possibilità di istituire un nuovo strumento finanziario entro il 2030. Ma basterà a convincere i governi?

Astrid Schomaker, segretaria esecutiva della Convenzione sulla biodiversità dell’ONU, rimane ottimista: «Le differenze non sono incolmabili». La realtà, però, è che senza impegni economici vincolanti, anche questa COP rischia di essere l’ennesimo esercizio retorico.