Contrordine, democratici: niente alleanze con Denis Verdini. Almeno questa è la posizione ufficiale fino ai ballottaggi del 19 giugno. Perché il patto del Partito democratico con l’Alleanza liberalpopolare-Autonomie (Ala) si è rivelato un disastro a Napoli e a Cosenza. Insomma, meglio non sbandierare il rapporto con l’ex braccio destro di Silvio Berlusconi. Ma, dietro alle dichiarazioni di facciata, resta il dato di fatto: in Parlamento Ala è una stampella della maggioranza. E Matteo Renzi non vuole privarsene, altrimenti rischia di zoppicare soprattutto al Senato dove i numeri sono troppo ballerini per azzardare la rottura con i verdiniani. Ma a differenza della spregiudicatezza delle ultime settimane, deve tenere un po’ all’angolo il rapporto con Ala. Che peraltro sta cercando di attrarre altri senatori dati in uscita dal Nuovo Centrodestra, rafforzandosi a Palazzo Madama.
Verdini chi?
Come se non bastasse, Renzi deve affrontare una forte resistenza nel Pd sul rapporto con Verdini. Addirittura la componente di Rifare l’Italia (gli ex Giovani Turchi), che fa riferimento a Matteo Orfini solitamente fedele alla linea del segretario ha chiesto una correzione di rotta. Del resto il presidente dell’Assemblea nazionale aveva pubblicamente respinto l’ipotesi di un’alleanza organica con Ala. “Il modello proposto da Renzi non funziona soprattutto nel Mezzogiorno”, ammette un deputato della maggioranza del partito. Per questo “bisogna archiviare il discorso Ala al termine di questa legislatura”. L’operazione di distacco è stata ufficialmente completata dalla nota diramata dalla lista Più Roma – Democratici e Popolari, che sostiene Roberto Giachetti per il Campidoglio. “Smentiamo categoricamente l’esistenza di accordi politici con Verdini”. Insomma, siamo quasi al “Verdini, chi?” per arrivare al rinnegamento del rapporto. Ma in realtà Renzi punta domare i malcontenti, lasciando scorrere un po’ di acqua sotto i ponti. Facendo quindi dimenticare il risultato del 5 giugno, magari grazie all’appoggio decisivo di Ala al referendum di ottobre.
La scelta di Ala
In ogni caso i parlamentari vicini all’ex factotum berlusconiano meditano una piccola vendetta per il trattamento che gli è stato riservato. Per questo studiano come poter dimostrare il loro peso negli equilibri politici. I deputati di Ala Ignazio Abrignani e Saverio Romano avevano già un piano per approdare ufficialmente in maggioranza: la fusione con il gruppo di Scelta civica (Sc). L’operazione è stata stoppata dal segretario del piccolo partito centrista, il viceministro dell’Economia Enrico Zanetti. Il motivo? Tra i superstiti del progetto montiano qualcuno aveva manifestato la netta contrarietà all’abbraccio con Verdini. E hanno minacciato di abbandonare Sc. Così è stato preparato il piano-B. Zanetti ha già annunciato una convention a luglio per un “cantiere dei moderati, aperto a tutti”. Compresa l’Alleanza liberalpopolare-Autonomie. E non è stato casuale il ragionamento di Romano, fatto alla Camera: “Noi politici di centro, Ncd, Scelta Civica, Udc, dobbiamo pensare ad attrezzare una proposta credibile. Spetta a noi capire se ci sia ancora ragione per continuare a marciare divisi e senza una comune visione politica”. E il deputato verdiniano ha invitato a “procedere a una verifica sulla possibilità di mettere insieme tutti, per elaborare una proposta politica autonoma. Ci sono i numeri e le ragioni politiche per un nostro importante ruolo in Parlamento”. Un mini manifesto di un partito centrista per fare da appoggio al Pd. Aggirando le resistenze dei cespugli di Scelta Civica. Con la benedizione di Renzi.