La politica non è una scienza esatta. Ma neppure l’arte dell’improvvisazione. E chi ha l’onore e l’onere di praticarla farebbe bene a non sfidare le leggi della fisica. Parafrasando Newton, del resto, ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria. Pure nel governo della cosa pubblica. Alla fine lo hanno capito pure i cosiddetti frondisti del Movimento 5 Stelle, dopo aver tenuto in fibrillazione per giorni maggioranza e Governo sul Mes. Fino alla mediazione che – salvo sorprese e renziani permettendo – dovrebbe mettere al riparo Conte dalle insidie del voto di oggi in Parlamento sulla riforma del discusso Salva Stati.
Un’azione, quella dei 58 “dissidenti” M5S che, per quanto nobile, avrebbe prodotto tuttavia una reazione opposta a quella che speravano di ottenere. Perché, riformato o meno, l’unica garanzia che l’Italia non attiverà mai il Mes sanitario è data dall’asse tra il premier Conte, da sempre contrario a ricorrere al Salva Stati, e i 5 Stelle, unica forza della maggioranza giallorossa in grado di frenare le spinte di chi, all’interno della coalizione, vorrebbe spingere il Paese tra le pericolose braccia della Troika. Un Movimento diviso avrebbe, nella migliore delle ipotesi, indebolito Conte, lasciando il destino del Governo in mano alla solita orda (e al ricatto) dei Responsabili.
Nella peggiore lo avrebbe mandato direttamente a casa, realizzando il sogno di chi predica – giornaloni al seguito – il mantra delle larghe intese per puntare al bottino miliardario del Recovery Fund. E, in entrambi i casi, pure quello del Mes che, a quel punto, nessuno avrebbe più potuto impedire di attivare.