Consentire il “cumulo parziale” tra lavoro e Reddito di cittadinanza. La proposta è sponsorizzata dal ministro leghista Garavaglia ed è sul tavolo del ministro Orlando. Ed è stata suggerita a suo tempo dal comitato Saraceno. Domenico De Masi, tra i più accreditati sociologi del Lavoro, lei è d’accordo?
“D’accordissimo. Quando parliamo di Reddito di cittadinanza stiamo parlando di briciole a persone che per lo più – tre milioni su cinque – sono inabili a lavorare. Per quelli – circa un milione – che sono occupabili, se si decurta l’assegno perché si è trovato un lavoretto, le vie sono due: o lo si decurta in maniera marginale oppure si è indotti a lavorare in nero. La faccenda del lavoro è da chiarire. Tra i percettori del sussidio noi non stiamo parlando di bocconiani ma di barboni, di persone che non hanno neppure la quinta elementare, che non lavorano da anni. Una platea alla quale non si può applicare il concetto di disoccupato classico. Qui siamo in presenza per la maggior parte di casi di lavoratori per i quali trovare un impiego è complicatissimo. E ciò nonostante 370mila di quelli occupabili hanno trovato lavoro in questi anni”.
Gli ultimi dati Istat sul lavoro parlano di un boom dei contratti a termine, e tra questi quelli a chiamata o intermittenti.
“Si tratta di un trend micidiale. Prima c’era il lavoro fisso e una prospettiva sicura di pensionamento. Oggi il proliferare di contratti a termine. E anche lo Stato ha ceduto a questa tentazione. Il ministro Brunetta sta assumendo a tre anni. Non si capisce questo andazzo. Forse tra tre anni lo Stato chiude? Ora siamo arrivati a contratti a settimane. Come fa un giovane a fare un progetto di vita, a fare un mutuo, a fare dei figli? La precarietà è un dogma delle teoria economica neoliberista che ora sta stravincendo ovunque e che si basa sulla paura di perdere il posto da parte di milioni di persone. Ora è precario anche il presidente o l’ad di una banca. Ma per chi guadagna molto non ci sono problemi. Mettere, invece, nella disperazione milioni di persone può determinare una situazione esplosiva”.
Come si combatte la precarietà?
“Prima di tutto riducendo l’orario di lavoro. Possibile che lavoriamo 1800 ore all’anno mentre in Germania soltanto 1400? Lavorando di più impediamo di lavorare a chi non ha un impiego. Ora poi sono arrivate l’Intelligenza artificiale e l’informatica. Orario lungo, salari bassi: mi meraviglio che ancora non ci sia una reazione meno debole di quella attuale. Queste masse di poveri – sono 12 milioni, di cui 5 assoluti e 7 relativi – sono ignorate da tutti che si occupano della borghesia media e alta. Calenda, Renzi, Meloni, Salvini: pensano tutti al ceto medio. Del proletariato nessuno si preoccupa. Se ne sono occupati i 5Stelle con il Rdc e poi se ne sono dimenticati”.
E il salario minimo: ci sarà mai in Italia?
“È assurdo che siamo tra i pochissimi Paesi in Europa a non averlo ancora. Il M5S ha fissato una soglia minima oraria di retribuzione di 9 euro lordi. Il che non significa che non si può pagare un lavoratore più di 9 euro lordi ma significa che quella è una soglia di dignità al di sotto della quale non si può andare. Ci sono i lavoratori delle campagne che raccolgono pomodori per tre euro all’ora per 13 ore al giorno. Non è ammissibile. Questa si chiama schiavitù. Bisogna invece capire che se nell’economia vanno in circuito più soldi, l’economia cresce per tutti. Non è solo una questione di altruismo ma anche di egoismo. E poi così si ridurrebbero le disuguaglianze arrivate a livelli inconcepibili”.