Enrico Letta, Giuseppe Conte, Matteo Renzi, Carlo Calenda, Nicola Fratoianni, Angelo Bonelli. Tra i vari leader che dicono no al Governo Meloni ci sono differenze sostanziali ma chi tra loro merita lo scettro di leader naturale dell’opposizione? Lo abbiamo chiesto a Roberto Baldassari, direttore generale di Lab 21.01 e professore di Strategie delle ricerche di mercato e di opinione di Roma 3, che assegna i voti ai vari leader dell’opposizione in base a come si stanno muovendo in questo primo scorcio di legislatura e incorona il numero uno del M5S, Conte.
Professore, partiamo dal segretario del Pd, Enrico Letta, che voto gli dà?
“Direi 4,5. Un’insufficienza figlia della campagna che ha fatto e della scelta di dimettersi. Letta non ha trovato nei primi giorni post nascita del governo Meloni uno scatto, un colpo di reni, anzi, se vogliamo, il mantenere una posizione soltanto dimissionaria ha fatto sì che si sgretolasse anche quel piccolo tesoretto che aveva guadagnato alle urne. Probabilmente in questo momento non si sente più leader del Pd e non si sente di certo leader dell’opposizione e forse la valutazione errata di non andare col M5S alle elezioni, sottostimando sia la forza di Conte che la forza del Movimento, ha debilitato ancora di più la sua capacità di leadership. Non mi sembra neanche premiante, dato l’atteggiamento dei suoi compagni, continuare a chiedere una linea comune, un’opposizione unitaria se il motivo della disunione sono state proprio le scelte che ha fatto Letta rispetto alle altre leadership dei partiti di opposizione”.
Passiamo a Giuseppe Conte, leader dei Cinque Stelle.
“A Conte do un 7, perché continua a lavorare in maniera costruttiva e progressiva rispetto al suo elettorato ma anche rispetto all’elettorato di centrosinistra. Nel discorso alla Camera è stato uno dei pochi che ha incalzato Meloni per esempio sul tema del Pnrr, che se non fosse stato per Conte non avremmo neanche portato a casa. E soprattutto l’ha incalzata non assumendosi il merito ma facendole la domanda precisa sul perché il suo partito non avesse votato il piano sui fondi del NextGenerationEu. Conte è l’unico che in qualche modo ha manifestato continuità nel ragionamento cominciato in campagna elettorale anche nella contrarietà a una forma di possibile alleanza in questo momento con il Pd”.
E veniamo alla coppia Calenda- Renzi.
“A Calenda do 5,5 e a Renzi 6,5. Sono una coppia bella ma che non balla. Bella perché sono due profili che vanno a lavorare su target interessanti per l’opinione pubblica, ma probabilmente hanno più futuro separati che insieme. A Calenda do l’insufficienza perché tra i due è quello che appare un po’ distonico rispetto alla scelta di fare o meno opposizione al 100%. Diverso il discorso per Renzi che mostra per l’ennesima volta di essere un animale politico di primissimo livello. Anche col 2% all’epoca è riuscito a intervenire nelle dinamiche per le elezioni del Capo dello Stato. E ora è riuscito a fare operazioni politiche tali da farlo tornare alla ribalta con quella dimensione percentuale. Non so quanto Renzi e Italia viva rimarranno veramente all’opposizione o comunque su alcuni temi mi paiono pronti a convergere col governo. Ecco perché rilevo una distonia all’interno di quel gruppo parlamentare con Calenda che mi pare più propenso a fare opposizione costretto a mediare con alcune aperture di Renzi. Se in campagna elettorale ha brillato più il leader di Azione, in questa prima fase del governo Meloni si sta riaccendendo la stella di Renzi”.
E poi ci sono Fratoianni e Bonelli dell’Alleanza Verdi-Sinistra Italiana.
“Direi che Fratoianni si sta difendendo bene, gli do un 6 pieno. Il problema è che si rivolge a un target ristretto. Da lui ci si aspetta un’opposizione dura e pura ed è quello che è pronto a fare. Ma non riesce ad andare oltre il 6 perché difficilmente apre a nuovi elettori. Idem Bonelli, anche per lui un 6. Oggi incarna bene i temi del suo elettorato, e per lui vale lo stesso ragionamento fatto per Fratoianni. Sia l’uno che l’altro però, mantenendo e curando il proprio elettorato piuttosto che pensare ad ampliarlo, non riescono a spiccare il volo. Difficile immaginarli come leader di tutta l’opposizione”.
Chi è, allora, il leader naturale dell’opposizione?
“Sicuramente Conte. E per diversi motivi. Uno, perché ha una numerica, a livello di intenzioni di voto superiore al Pd secondo le nostre ultime rilevazioni (17,8% contro il 17% dei dem), poi perché il suo è un trend crescente e non calante come quello del Pd, tre, perché sta acquistando stima e fiducia anche su un target elettorale di centrosinistra che non votava M5S, quattro perché gli altri appaiono ammiccare al governo Meloni (vedi Renzi). Ma vorrei fare un’altra considerazione”.
Ci dica.
“Il M5S guidato da Conte ha fatto una risalita interessante proprio per la sua capacità di essere agganciato al territorio e alla gente in maniera coerente e progressiva e per avere il coraggio di fare vera opposizione alla Meloni. Ma bisogna che faccia attenzione a quando arriverà un nuovo leader del Pd. M5S e Conte devono sedimentare e puntellare alcune posizioni rispetto all’elettorato che hanno riconquistato grazie alla campagna elettorale del presidente e del Movimento fatta in una certa direzione; devono fare attenzione nelle aperture ad altri leader politici e devono stare attenti a non interrompere il cammino intrapreso sia col proprio elettorato, sia con quella fetta di elettorato del centrosinistra che si è avvicinato al M5S pur arrivando da altri lidi. E questo lo dico perché se dopo Letta dovesse arrivare un leader forte e il M5S non avesse assestato e sedimentato nel frattempo la fiducia con alcune fette di elettorato strappate al Pd, questi spicchi di elettori rischiano di ritornare da dove sono arrivati. In questo senso Conte deve avere la forza di rivolgersi all’elettorato di centrosinistra come ha fatto Meloni parlando agli elettori di Forza Italia e della Lega e portandoli a votare FdI. Se Conte riuscirà a drenare voti al Pd diventerà proprio il controcanto naturale della presidente Meloni”.