A diciotto mesi dalle dimissioni di Di Maio da capo politico ed altrettanti di reggenza forzata del Movimento, la conferma della presidenza di Giuseppe Conte da parte degli iscritti segna un punto di svolta per i Cinque Stelle. O almeno dovrebbe.
La riforma Cartabia, del resto, è solo l’inizio del percorso a ostacoli che attende il nuovo leader di qui alla fine della legislatura. L’inizio del semestre bianco toglie ai 5S l’arma di pressione del ritiro della fiducia al Governo Draghi, che non produrrebbe alcun effetto fino all’elezione del prossimo presidente della Repubblica, ma al tempo stesso consente al Movimento di giocare, per la stessa ragione, con maggiore intraprendenza e decisione – e perché no, di tirare di più la corda – su ogni singolo punto dell’agenda di Palazzo Chigi.
Dalla riforma fiscale a quella degli ammortizzatori sociali. Due temi, dopo la pezza messa da Conte sulla Giustizia, che migliora la riforma della Cartabia ma peggiora quella di Bonafede, sui quali ci sarà da stare all’erta. Come pure il Reddito di cittadinanza che, nonostante la blindatura di Draghi, resta nel mirino delle Destre, dei renziani e di Confindustria.
Il compito dell’ex premier non sarà facile. Ma potrebbe rivelarsi persino proibitivo se dovesse continuare la faida interna tra governisti, ortodossi e contiani che ha segnato le ultime settimane. è proprio sulla capacità di Conte di ricompattare le truppe che si gioca la sfida decisiva dei 5S: fermare il treno della restaurazione che ha ripreso, con Draghi, a correre a tutta velocità.