Finisce con Beppe Grillo che lascia l’Hotel Forum di Roma, al termine dell’incontro con il leader M5S, Giuseppe Conte, alla sua maniera. Sfoderando un finto cinese per commentare, sfrugugliato dai cronisti, l’incontro tra il leader di Forza Italia, Antonio Tajani, e il presidente del Partito comunista cinese.
Gli incontri con Beppe? “Sempre bene”, taglia corto a sua volta Conte dribblando le domande dei giornalisti. Non serve scomodare i retroscenisti per ipotizzare – con buone probabilità di azzeccarci – che al centro del colloquio tra leader e cofondatore M5S sia stata soprattutto la campagna elettorale, di fatto già in corso, in vista delle elezioni europee della prossima primavera a tenere banco.
Per concordare la strategia. In parte già evidente dalla linea più movimentista imboccata nelle ultime settimane dai 5 Stelle, che hanno iniziato, se non a smarcarsi almeno a differenziarsi. dal Pd. A cominciare dal tema dei migranti e dell’accoglienza, prendendo le distanze dal “prendiamoli tutti” con cui la maggioranza ha gioco facile nel tacciare la sinistra come il partito dell’invasione.
Una linea che sta creando più di qualche apprensione tra gli alleati del Partito democratico. Al punto che ieri Elly Schlein è stata costretta ad intervenire per replicare a quelle che, secondo numerosi esponenti del Nazareno, sarebbero vere e proprie bordate sparate dai Cinque Stelle contro i dem.
Se Conte e Grillo stanno alzando il tiro contro il Pd è per colpa della “competizione”, per le Europee, taglia corto Schlein, con una coda polemica verso l’alleato: “Il Pd è impegnato nell’opposizione al governo più a destra della storia repubblicana, con proposte concrete”. Insomma, il messaggio ai 5S è chiaro: non siamo noi gli avversari.
Ma le grane per la segretaria dem non finiscono qui. Le altre arrivano dai veleni interni. Il ritorno nel partito di Sergio Cofferati non è stato indolore: il biglietto da visita del cinese è uno schiaffo all’area riformista: “Non basta dirsi riformisti, bisogna esserlo – ha accusato l’ex leader della Cgil mettendo ne mirino il jobs act –. Ci devono spiegare qual è il contenuto riformista di quella brutta legge”.
La replica è arrivata dal senatore Pd Filippo Sensi, che è stato portavoce di proprio di Matteo Renzi a Palazzo Chigi: “Quando si entra in un partito sarebbe buona norma rispettare le persone che ci sono”. E dalla deputata Marianna Madia: “Ero responsabile lavoro nella prima segreteria di Renzi. Pronta ad argomentare cosa siamo riusciti a fare e dove non siamo arrivati”.
Elly in difesa
Schlein ha provato a spegnere l’incendio: “Dobbiamo essere uniti perché solo così possiamo essere efficaci per costruire l’alternativa alla destra – ha assicurato -. è giusto che vivano le aree culturali, non nel tentativo di costruire recinti, ma per mettere in circolo quella competenza e quel sapere e quella cultura per tracciare insieme una via”.
Infine, la rassicurazione: “Nessuno si deve sentire più o meno a casa di un altro”. Il leader di Iv, Matteo Renzi, però, non si è fatto sfuggire l’occasione: “Mando un abbraccio affettuoso a tutti i riformisti rimasti nel Pd. Vi stanno prendendo in giro”. Chi ha avuto parole di incoraggiamento è stato il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini: “Riconosco la coerenza con cui Sergio si sta muovendo”.
Una frase usata come grimaldello da Iv, specie dopo la dichiarazione della segretaria Pd sulla settimana lavorativa di quattro giorni: “È una misura che porta con sé alcuni benefici importanti – ha detto Schlein – abbiamo diverse ragioni per provare a sperimentare questa misura”.
Poi inserata, almeno da Conte, un ramoscello d’ulivo alla Schlein è arrivato: Tutti ci vogliono far litigare col Pd, ma non mi sentirete mai parlare male di Schlein, a meno che non faccia come Letta, che ci ha trattati da appestati. Ma non è assolutamente questo il caso”. Con frecciata finale all’ala moderata del Pd.