Finora erano state diverse le circostanze in cui la crisi all’interno della maggioranza gialloverde si era subodorata. Abbiamo avuto la questione Siri, il dl Sicurezza 1 e 2, la riforma della giustizia, le Autonomie. Diversi osservatori avevano dichiarato già da mesi, però, che lo scontro, quello vero, quello che non si ferma all’annuncio elettorale del momento, sarebbe arrivato con il Tav: due linee, quelle di Lega e Movimento Cinque Stelle, troppo distanti da colmare e far dialogare. Anche perché sulla fattibilità di un’opera le strade sono due: o si o non si fa. Tertium non datur. Tanto che anche l’idea bislacca di una mini-Tav è tramontata prima di subito. E ora, come si diceva, la crisi di Governo è concreta, evidente, palpabile.
Ma crisi non vuol dire automaticamente e necessariamente fine di un’esperienza di Governo. E’ evidente, però, che il coltello dalla parte del manico è in mano a Matteo Salvini. Luigi Di Maio ha fatto quel che poteva: ha segnato la distanza del Movimento dalla Torino-Lione e ha fatto in modo che fosse palese il maxi-inciucio Lega-Pd, già concretizzatosi con il salvataggio del finanziamento a Radio Radicale. Ma, complice il risultato elettorale delle europee e l’appiattimento del Movimento alle posizioni leghiste, il Capitano ha in mano le sorti dell’Esecutivo e, presumibilmente, di questa legislatura. Due sono le strade su cui inevitabilmente ieri si è ragionato e si continuerà a ragionare nelle prossime ore: voto anticipato o pesante rimpasto di Governo.
URNE SUBITO. Per quanto riguarda la prima ipotesi, nonostante la tentazione sia forte, in casa Lega c’è più di un dubbio sulla convenienza. Innanzitutto per una ragione di tempistiche: se si dovesse andare al voto in autunno, bisognerebbe fare in modo che Conte vada da Sergio Mattarella nella prossima settimana o comunque prima di ferragosto. Senza dimenticare un altro aspetto non secondario: Salvini non potrebbe contare su un centrodestra solido considerando il periodo non propio felice che sta vivendo Forza Italia con Silvio Berlusconi che, di fatto, ha cacciato Giovanni Toti dal partito. Senza dimenticare un altro aspetto: in caso dimissioni di Conte, a gestire la partita sarebbe Sergio Mattarella, con l’eventualità, non così peregrina, che il presidente della Repubblica spinga per un Governo tecnico visto il periodo convulso di presentazione della Manovra e di dialoghi con l’Unione europea. Scenario, questo, che potrebbe non convenire alla Lega che a quel punto dovrebbe prendersi la responsabilità, anche se indiretta, di una Finanziaria lacrime e sangue.
RIMPASTONE. L’altra ipotesi, invece, è continuare a governare con i Cinque stelle, ma con un Governo che segua un andamento differente. E, in effetti, a sentire l’intervento di Salvini ieri a Sabaudia pare proprio questa la strada prediletta dal Capitano. Con un chiaro e distintivo segno di cambiamento, non solo nei nomi dell’Esecutivo, ma anche nei punti-chiave del contratto di Governo. Politicamente, d’altronde, Salvini si trova in una posizione privilegiata, visto quello che dicono i sondaggi. Ma sa bene che per realizzare quanto lui desidera, paga molto di più appoggiarsi ai Cinque stelle che a un centrodestra malandato, soprattutto ora che torneranno in campo le pesanti trattative con l’Unione europea, tema sul quale le distanze tra Salvini e Berlusconi sono a dir poco siderali. L’appuntamento ora per gli inizi della prossima settimana, quando a decidere saranno Conte e Di Maio che già hanno ricevuto i desiderata di Salvini. Mattarella, intanto, sta a guardare.