All’uscita di Palazzo Chigi è stato il capogruppo Pd al Senato, Andrea Marcucci, a parlare e a dirsi soddisfatto del lavoro svolto, prima ancora del risultato di Rousseau: “Abbiamo completato il lavoro sul programma per darlo al presidente” Giuseppe Conte “in modo che lo possa utilizzare nelle prossime ore. Un ottimo lavoro ricco di contenuti che permetterà al Paese di rilanciarsi”. I temi, prima di tutto. Ma è indubbio che questi si siano intrecciati a più riprese nei giorni scorsi con i nomi da inserire nella squadra di Governo. Anche perché oggi la lista dei ministri verrà comunicata da Giuseppe Conte a Sergio Mattarella.
Il quadro, ormai, è più che chiaro: Stefano Patuanelli prenderà il posto di Danilo Toninelli, Luigi Di Maio andrà alla Difesa o agli Esteri, confermati anche Giulia Grillo, Alfonso Bonafede e Riccardo Fraccaro, mentre alcuni sottosegretari (come Mattia Fantinati) saranno premiati per il pregevole lavoro svolto con un posto da ministro. I problemi nel corso degli ultimi giorni sono, invece, arrivati dal Pd, vista la necessità di soddisfare più correnti. Certamente il passo di lato di ieri di Andrea Orlando – che ha dichiarato che non farà parte di quest’esecutivo – ha aiutato.
Quel che è certo è che innanzitutto c’è da accontentare l’ala renziana (ne entreranno nel Governo tre) che per primi hanno lanciato l’idea di un’alleanza giallorossa. Senza dimenticare i desiderata di Dario Franceschini e dei franceschiniani, che occupano all’interno del Partito democratico un posto di rilievo. A sentire i rumors, però, la casella che a lungo ha tenuto banco e sulla quale ancora ci sono dei nodi da sciogliere riguarda il ministro del Lavoro. Tanto per i pentastellati quanto per i democratici, la tematica del lavoro è fondamentale.
Basta d’altronde leggere la bozza del programma di Governo pubblicata ieri per rendersi conto del ruolo prioritario che occupano tematiche come salario minimo, Reddito di cittadinanza, politiche contro gli infortuni sul lavoro e legge sulla parità di genere nelle retribuzioni. Ed è inevitabile che il Movimento vorrebbe presidiare il dicastero in cui ha operato fino a ieri proprio Luigi Di Maio. è qui che la partita potrebbe complicarsi. Se infatti Di Maio dovesse andare alla Difesa o agli Esteri e comunque la casella rimanente fosse occupata da un pentastellato (potrebbe restare Elisabetta Trenta), il Lavoro potrebbe finire a un dem.
In questo senso i renziani starebbe spingendo per Teresa Bellanova, nome però non molto gradito ai pentastellati. In alternativa si potrebbe virare su Marina Sereni, il cui nome è circolato molto nei giorni scorsi, essendo peraltro una franceschiniana di punta. Senza dimenticare Tommaso Nannicini che a lungo si è occupato di lavoro e che non sarebbe sgradito agli stessi 5 Stelle. Ma sarebbero salite le quotazioni di Graziano Delrio che altrimenti rimarrebbe senza un ruolo-chiave. Ma c’è un’altra alternativa allo studio, che è quella di fare in modo che il dicastero resti in mano ai pentastellati.
In questo quadro è plausibile che il Movimento ceda uno dei due ministeri lasciato libero da Di Maio (se restasse sguarnita la Difesa, potrebbe arrivare lì Lorenzo Guerini). E a quel punto lato Cinque stelle potrebbero essere, anche in questo caso, tanti i potenziali papabili, con un nome però che nelle ultime ore ha superato gli altri e finora rimasto nell’ombra: Laura Castelli. L’attuale viceministro all’Economia, fedelissima di Di Maio, garantirebbe continuità con quanto fatto finora. In alternativa si sta ragionando sul nome di Nunzia Catalfo, che si è occupata in questi mesi dell’iter legislativo di Rdc e salario minimo: in ogni caso la senatrice potrebbe aspirare a un ruolo di sottosegretario.
Defilati (ma non troppo) anche Nicola Morra e Andrea Roventini, l’economista che Di Maio avrebbe proposto al Mef in un ipotetico Governo monocolore M5S: entrambi svolgerebbero lo stesso ruolo della Castelli, essendo persone che godono di massima fiducia da parte di Di Maio. In ogni caso, però, l’ultima parola spetterà a Mattarella.