Quello che si è svegliato ieri mattina, dopo il lungo confronto che si è tenuto la sera prima con il suo leader Giuseppe Conte per iniziare l’analisi delle cause (e degli eventuali rimedi) della batosta elettorale rimediata alle Europee, è il Movimento Cinque Stelle di sempre.
Come se nulla fosse, deputati e senatori hanno dato battaglia sui provvedimenti all’esame della Camera (Autonomia differenziata) e del Senato (Premierato) e hanno lasciato cadere nel vuoto le accuse di chi come l’ex ministro Luigi Di Maio, ormai lontano anni luce dal Movimento, si è scagliato contro il loro presidente.
La principale responsabilità di Conte è quella di “aver snaturato il Movimento, che oggi è un partito ancora più chiuso e verticistico del passato”, ha spiegato l’attuale rappresentante Ue nell’area del Golfo. A Di Maio ha replicato invece un altro ex grillino. “Luigi Di Maio è uno dei responsabili di aver snaturato M5s. Fino all’altro ieri gli andava bene tutto quanto, perché faceva il ministro, poteva dire ‘io sono un ministro della Repubblica’, oggi invece fa queste interviste…”, dice Alessandro Di Battista.
I travagli interni del Movimento Cinque Stelle
Non c’è dubbio, però, che, nonostante si faccia finta di niente, grandi e tanti sono gli interrogativi e le incognite che gravano sulla forza politica guidata da quello che si presentava come “l’avvocato del popolo”.
È vero che l’attuale leadership di Conte non è al momento in discussione, anche se la richiesta di maggiore collegialità avanza. Nessuno degli eletti riuniti martedì sera ha realmente preso in considerazione un cambio al vertice, più che altro perché nessuno a oggi ha la forza e i requisiti per disarcionare l’ex premier. E questo nonostante Conte abbia dato il segnale di volersi assumere le sue responsabilità e di essere pronto a farsi da parte qualora la sua guida fosse considerata un ostacolo al raggiungimento degli obiettivi del Movimento.
Così la riunione ha partorito l’idea di una sorta di congresso per rivedere le regole. Un’assemblea costituente da tenersi probabilmente in autunno per definire le “modifiche che riterremo necessarie”. Ma anche qui il discorso è complicato. Cambiare le regole non è una cosa che si può fare facilmente dall’oggi al domani. Potrebbe richiedere una votazione statutaria che potrebbe rivelarsi più ostica di quanto non si immagini.
L’ostacolo Grillo sulla strada del cambio delle regole
Eventuali modifiche, soprattutto, chiamerebbero in gioco il Garante, ovvero Beppe Grillo. Nel mirino ci sono la regola d’oro del limite ai due mandati che ha lasciato in panchina persone come l’ex presidente della Camera, Roberto Fico, Virginia Raggi, Paola Taverna. E ha prodotto liste deboli, debolissime, con pochissimi nomi acchiappa-voti.
Sul banco degli imputati anche le parlamentarie che portano in lista persone che prendono appena un centinaio di click. Proprio Fico ieri ha dichiarato che “il risultato elettorale non è stato buono e lo abbiamo detto tutti. Stiamo facendo e faremo una riflessione approfondita per migliorare tutti insieme. Non c’è nessun processo a Giuseppe, c’è una riflessione generale che va fatta e va fatta tutti uniti”.
Ma se Conte in passato ha manifestato la sua disponibilità a modificare le regole in vigore, il Garante ha difeso il no al terzo mandato con le unghie e con i denti. Nel caos post-elettorale, c’è chi rilancia la possibilità di un nuovo nome e di un nuovo simbolo per i pentastellati, ma l’ipotesi non trova al momento riscontro. Poi c’è il tema dei rapporti col Pd. Oggi i riformisti dem, forti delle preferenze incassate, premono per il campo extra-large. Ma Renzi e Calenda sono nomi indigesti per il M5S. Già, non c’è dubbio che sono molti gli interrogativi a cui sarà chiamato a rispondere il Movimento.