Prima l’incontro con i sindacati, poi quello con Confindustria. Prosegue senza sosta la girandola di vertici del premier Mario Draghi per cercare di dare una risposta ai tanti problemi, tra caro vita e costi energetici in vertiginoso aumento, con misure ad hoc da accompagnare a una riforma del mondo del lavoro.
La solita Confindustria, in trincea contro il salario minimo
Peccato che come visto martedì, per ora il governo sembra brancolare nel buio tanto che, in entrambi i summit, non sono state presentate proposte concrete e nemmeno cifre per gli interventi ma ci si è limitati a discutere – tra l’altro per sommi capi – di salario minimo, taglio del cuneo fiscale, ma anche l’emergenza energetica che per le imprese costituisce un vero e proprio cataclisma.
In assenza di idee concrete da parte dell’Esecutivo, il quale si è limitato a definire un calendario di incontri, è chiaro che le divergenze tra sindacati e il leader di Confindustria, Carlo Bonomi, sono ancor più evidenti. E proprio sul salario minimo è andato in scena un vero e proprio confronto a distanza tra quanto chiedono Cgil. Cisl e Uil, e tra quanto desidera la principale organizzazione rappresentativa delle imprese manifatturiere e di servizi italiani.
“L’Italia non è obbligata a introdurlo per legge (il salario minimo, ndr), più dell’80% dei nostri lavoratori è coperto dai contratti nazionali” ha commentato Bonomi a margine del quarto Forum a Parigi con il Medef, gli industriali francesi. Secondo lui introdurre una misura simile, sulla quale è già arrivato il via libera da Bruxelles, “sarebbe una scelta politica, ma attenzione perché così si rischia di scassare la contrattazione nazionale”. In che modo il salario minimo possa costituire un problema, non è chiaro.
Ma per Bonomi tale misura è del tutto inutile perché “in Italia abbiamo i contratti nazionali, un valore aggiunto. Tutti e 58 i contratti applicati da Confindustria, ad esempio, sono sopra i 9 euro lordi all’ora, persino il livello più basso dei metalmeccanici è a 11 euro”.
L’assist di Brunetta
Del resto questa è una tesi già sostenuta anche dal ministro per la Pubblica amministrazione, Renato Brunetta, che il 24 giugno ha raccontato che “è stato ricordato anche qui che in Italia abbiamo il miglior sistema di contrattazione in Europa, e forse nel mondo”. Questo, a suo dire, “va migliorato ulteriormente. Io preferisco sempre e comunque un contratto a un salario minimo stabilito per legge, perché il prezzo stabilito per legge di solito produce più guai di quanti ne risolva”.
Se non fosse stato già abbastanza chiaro sul punto, lo stesso Brunetta ha aggiunto che “il salario minimo per legge, che uccide la contrattazione, combinato con il reddito di cittadinanza distrugge il mercato del lavoro”. Parole che hanno lasciato molti di sasso e che sono state ribadite dal ministro ancora una volta ieri, proprio mentre era in corso l’incontro tra Bonomi e Draghi a Palazzo Chigi, quando ha detto che “occorre pensare al segmento dei lavoratori poveri e precari, che magari hanno anche dei contratti, ma sono spesso contratti pirata, fasulli, inaccettabili.
Ieri al tavolo con i sindacati abbiamo detto: Salario minimo Sì, ma non per legge fissando la cifra, perché l’Italia ha una straordinaria contrattazione che garantisce buoni contratti al 90% dei lavoratori. Va prevista l’estensione dei minimi contrattuali dei contratti più diffusi e migliori anche a chi non ne ha”.
Il teorema smontato dai 5 Stelle
Uno strambo teorema che è stato già smentito dal Movimento 5 Stelle con Giuseppe Conte che gli ha risposto per le rime rivelando che “data la prospettiva recessiva, è assolutamente necessario intervenire sul cuneo fiscale” implementando “in modo coordinato anche il salario minimo” che darebbe una mano agli italiani.
Ancor più esplicito l’europarlamentare 5S, Mario Furore, secondo cui “Brunetta si conferma ancora una volta campione del populismo spicciolo. Con il reddito di cittadinanza in Italia e con il nostro lavoro in Europa sul Salario minimo, abbiamo aumentato i diritti sociali”. Poi, smontando la tesi che simili misure possano smantellare il sistema di contrattazione, ha spiegato che “il problema del mercato del lavoro è quello delle paghe da fame ed è vergognoso che il Ministro di un Paese del G7 sia totalmente indifferente al destino di oltre 4 milioni di cittadini che, pur lavorando, vivono in una condizione di povertà”.
Difficile dar torto al Movimento perché il salario minimo non distruggerà affatto la contrattazione nazionale ma, semplicemente, fisserà il limite più basso per i salari. Questi, come già accade, dovranno comunque essere oggetto di una negoziazione tra le parti, con gli evidenti benefici per i lavoratori che avranno condizioni sicuramente migliori di quelle attuali.
La sparata di Salvini
Come se non bastasse, l’incontro tra Draghi e Bonomi è stato anche l’occasione per l’ennesima sparata di Matteo Salvini. Già perché subito dopo questo vertice, il leader leghista ha pensato bene di aprire bocca e lanciare uno dei suoi sferzanti attacchi.
“È un grave errore che a nome dell’industria italiana in questo momento ci sia a Palazzo Chigi solo un soggetto che parla a nome di tutti gli imprenditori, così come ieri è stato un errore che Cgil, Cisl e Uil abbiano parlato per tutti i sindacati” ha tuonato il leader della Lega con le solite – e stantie – frasi a effetto, per giunta pronunciate durante un suo intervento all’assemblea decennale di Confindustria.
Insomma la tesi è che il governo sta scegliendo pochi interlocutori, ignorando le altre organizzazioni sindacali. Peccato che sia una balla. A smentirla è stata una nota di Palazzo Chigi che ha messo a tacere ogni illazione. Nel testo del comunicato stampa, infatti, si legge che “gli incontri del Governo con le associazioni datoriali proseguiranno nei prossimi giorni”, ciò a riprova di come l’intenzione sia quella di coinvolgere più soggetti possibili prima di arrivare al decreto che, se ci sarà ancora un governo, dovrebbe arrivare entro fine mese.