di Fausto Cirillo
Berlusconi non è più «un pericolo» perché dopo la scissione del nuovo centrodestra «c’è una chiara maggioranza» e ora «sono più forte». Lo ha detto da Berlino il premier Enrico Letta, dopo aver appreso che il duplex composto da Piero Grasso e Guglielmo Epifani ha rigettato qualsiasi ipotesi di rinvio del voto al Senato sulla decadenza del Cavaliere. Mercoledì prossimo si dovrebbe così consumare l’ultimo capitolo di una vicenda che il Pd ha dimostrato di non voler gestire con prudenza e senso di equilibrio: il congresso di partito impone infatti di presentarsi a tutti i costi davanti agli iscritti e simpatizzanti con lo scalpo del nemico, anche e soprattutto per farsi perdonare il governo delle larghe intese. Un atteggiamento che per il momento ha però prodotto una nuova, prevedibile coesione di tutti i parlamentari del centrodestra. Il vicepremier Alfano ha incontrato i senatori di Ncd, che hanno eletto Maurizio Sacconi presidente del nuovo gruppo. Nella riunione avrebbe ribadito che, nonostante la scissione da Forza Italia, la linea sulla decadenza di Berlusconi non cambia di un millimetro. Anzi, un eventuale voto di fiducia sulla legge di Stabilità potrebbe essere interpretato come atto di guerra per evitare uno slittamento del voto del 27 novembre. Il segretario del Pd, Epifani, smentisce che ci sia un’intenzione del genere: «Non è vero che abbiamo accelerato i tempi. È un’accusa infondata, noi non vogliamo mettere fuori gioco Berlusconi ma c’è una sentenza definitiva e la legge Severino va applicata anche è la prima volta che viene adottata per un parlamentare. È stata già applicata in 32 casi, per 32 persone che si trovavano esattamente nella stessa condizione di Berlusconi. Se non procedessimo allo stesso modo non si capirebbe, allora, perché esiste una legge e perché non è stata applicata in un solo caso che riguarda un parlamentare, mentre in altri 31 sì. Non ci nascondiamo – ha concluso Epifani – che questo determina un problema politico che, però, dovrebbe essere compreso da tutti».
La sentenza dei posteri
A quel punto Forza Italia ha deciso di incalzare, per bocca di Sandro Bondi, i ministri del Nuovo centrodestra. «Se davvero credono in ciò che dichiarano, e cioè che il presidente è vittima da vent’anni di una ingiusta e terribile persecuzione giudiziaria che mette a rischio la nostra democrazia, ne traggano tutte le conseguenze e si comportino con coerenza. Se fossi uno di loro sentirei come minimo il dovere morale di porre in Consiglio dei ministri la questione ancora aperta dell’interpretazione corretta della legge Severino e inviterei Letta e il Pd a rispettare almeno le garanzie democratiche. Solo così le loro vibranti dichiarazioni, pure rispettabili, avrebbero un valore morale e politico». Bondi si è reso protagonista anche di un botta e risposta con il presidente Grasso che ieri, in apertura di seduta al Senato, aveva risposto all’istanza presentata dai senatori di Forza Italia e del Nuovo centrodestra che chiedevano una nuova convocazione del consiglio di presidenza del Senato sulla decadenza di Berlusconi e lo spostamento del voto dell’aula previsto per il 27 novembre. «La questione è già stata dichiarata chiusa il 6 novembre», è stata la risposta di Grasso. A quel punto è intervenuto Bondi: «Presidente, lei ci ha letto una lunga pappardella formale e passerà alla storia come il presidente del Senato che, con il voto palese, ha consentito la violazione di uno dei principi fondamentali della nostra democrazia parlamentare». Immediata la replica di Grasso: «Ai posteri l’ardua sentenza…». Anche il capogruppo del Pd Luigi Zanda si è affrettato a dichiara chiusa la questione: «Sono certo che il 27 dicembre si voterà la decadenza di Berlusconi». Il voto, ha spiegato, potrebbe anche essere ‘incastonato’ tra diverse sedute dell’aula dedicate alla Legge di stabilità, malgrado i senatori Fi-Pdl abbiano chiesto che la sessione di bilancio si dedicasse solo ai temi che le sono propri. Ma si sa, quando c’è da far fuori Berlusconi, la tendenza della sinistra è quella di innovare con entusiasmo la prassi parlamentare.