Di Gaetano Pedullà
La polemica tra Confcommercio e Renzi sugli 80 euro è la prova provata di come questo Paese abbia superato ogni paradosso. Il Governo non ha un soldo, ha fatto di tutto per raggranellare quel che poteva e per una volta ha puntato queste risorse per sostenere i consumi. La mossa è servita a poco e dunque sarebbe quasi ovvio sentire la protesta delle industrie a cui – caso assai raro – stavolta era sfuggito qualcosa. Da decenni, infatti, pochi o molti che erano, gli esecutivi di ogni forma e colore avevano destinato sempre ogni cosa alla produzione. Chi è invece che si lamenta? Sono i commercianti, cioè gli unici a cui di quegli 80 euro è rimasto attaccato qualcosa.
Ora è chiaro che gettare qualche moneta nel pentolone non poteva risolvere la crisi, ma la strada era e resta quella giusta. Anche se la Confcommercio è popolata di Tafazzi (ricordate il personaggio che godeva tirandosi mazzate sull’inguine?). Il problema semmai è di aumentare queste risorse, a costo di sforare i vincoli europei sul deficit. Se non mettiamo più soldi in tasca agli italiani è impensabile che ripartano i consumi e di conseguenza l’industria possa svuotare i suoi magazzini pieni di merce che resta invenduta. Dare 80 o 500 euro in più cambia però poco se insieme a questi soldi non si dà pure un po’ di fiducia. L’Istat oggi confermerà che la crescita non c’è (o se c’è è così piccola che va cercata col lanternino). Dunque con i soldi vanno dati piani per il lavoro e riforme economiche. Il Senato e la legge elettorale sono importanti. Ma procedere di pari passo pensando alle imprese non è impossibile.