di Gaetano Pedullà
Conferma della condanna, assoluzione o rinvio. Qualunque cosa decida oggi la Cassazione sul processo Mediaset e sul destino politico di Silvio Berlusconi, comunque abbiamo perso tutti. Ha perso un Paese lasciato con il fiato sospeso per la decisione su un singolo processo. Ha perso il Cavaliere, che se vedrà annullata le sentenze di primo e secondo grado resterà per sempre il caimano salvato questa volta dalla Realpolitik, dal “non c’è alternativa a questo governo” detto chiaro e tondo da quel Napolitano “regista” al Quirinale che incidentalmente fa anche il presidente del Csm. Ha perso il Partito democratico, che ha deluso ancora una volta i suoi elettori per via dell’incertezza su cosa votare in caso di condanna: cacciare l’avversario di sempre dal Parlamento e così far cadere il governo Letta o graziare il sultano di Arcore. E hanno perso pure tutti quegli italiani a cui non importa proprio niente di cosa accade a Berlusconi (e sono tantissimi). Hanno perso perché da questo processo è dipeso gran parte del “senso di responsabilità” che ha generato un governo nato debole e tutt’oggi praticamente immobile, capace appena di annunciare divieti su dove e con chi fumare, mentre si rinvia ogni altra decisione, da quelle di maggiore impatto mediatico (come il pagamento dell’Imu e il mancato aumento dell’Iva) a quelle più urgenti e strutturali, come il taglio della spesa pubblica o la riforma elettorale. Per questo, qualunque cosa accada oggi, la vera lezione che arriverà dal “Palazzaccio” è che dobbiamo cambiare pagina. Impensabile che Berlusconi – assolto o no – si faccia da parte, passi la mano e costringa il suo partito a trovare al suo interno una nuova leadership. Esattamente come è impensabile che i vecchi capibastone del Pd accettino la via della pensione, se non della rottamazione minacciata da Matteo Renzi. Impensabile, perché quel potere non molla. Ma condanna o non condanna il tema resta: questa politica ha fatto il suo tempo. Non serve una sentenza per rendercene conto.