Passano le ore ma continua a tenere banco la nomina di Raffaele Cantone al vertice della Procura di Perugia. Preparato, onesto e dal curriculum invidiabile, tutte qualità che non possono essere messe in discussione, la scelta dell’ex capo dell’Anac non verrà di certo ricordata come un momento di unione all’interno del Csm. Tanto meno è stata una reazione del Consiglio capace di dare un calcio al passato, dopo gli scandali degli incontri carbonari tra toghe e politica che hanno fatto a pezzi il mondo dorato della giustizia italiana. Ma cosa ben più grave, appare come una nomina inopportuna perché con questa si è venuto a creare un delicato cortocircuito in quanto il suo nuovo ufficio gestisce il fascicolo sul caso del pm Luca Palamara che, come emerso da alcune chat, non gradiva affatto la candidatura di Cantone al ruolo di procuratore di Perugia.
Ed è proprio questo il punto perché, per quanto tutto regolare, questa scelta si poteva evitare per scongiurare polemiche che, come naturale che fosse, sono divampate sin dalla discussione interna al Csm con il botta e risposta tra il consigliere di Area, Mario Suriano, secondo cui “dalle chat” emerse nell’inchiesta “Cantone non era un nome gradito e per questo non doveva andare a Perugia secondo persone vicine al presidente del Consiglio che lo nominò all’Anac”. A cui ha risposto Piercamillo Davigo sostenendo che della sua alternativa, il procuratore di Salerno Luca Masini, “nelle chat non si parla proprio e questo è ancora meglio”.
Quel che è certo come spiegato dall’avvocato Marcello Melandri, noto per aver rappresentato – tra i tanti – l’ex direttore della Juventus Luciano Moggi, la situazione che si è venuta a creare tra Palamara e Cantone “porterà sicuramente imbarazzo a entrambi” ma va accettata perché “il pm non è ricusabile”. Ancor più netto il parere dell’avvocato Giosué Naso secondo cui con questa vicenda “entriamo in profili di sensibilità, anche istituzionale, che avrebbe dovuto avere Cantone”, “ritirando la domanda per la procura di Perugia dopo aver saputo tutto quello che è emerso dall’inchiesta”. Un’indagine che, prosegue il legale, rende necessaria la separazione delle carriere delle toghe perché Palamara “era un pm a cui si rivolgevano anche i giudici per ottenere benefici”.
I MESSAGGI. La chat incriminata risale al 5 febbraio del 2019 e vede coinvolti il deputato Cosimo Maria Ferri e, appunto, il pm indagato a Perugia. Con un messaggio su whatsapp, il renziano chiede a Palamara: “Ma Cantone ha fatto domanda?”. Un fulmine a ciel sereno che fa scattare il suo interlocutore che immediatamente replica: “Ma per dove?”. E Ferri: “Perugia, lo sapevi?”. Palamara: “Assolutamente no. E Sottani (Sergio Sottani, allora procuratore di Ancona) non mi ha mai parlato di Cantone”. Frasi da cui si evince come la notizia lo abbia colto più che di sorpresa. A riprova di ciò infatti, il successivo messaggio che chiarisce ogni dubbio perché qui Palamara afferma che la cosa è “da evitare assolutamente”.