L’arresto di Cesare Battisti farà parlare molto anche nei prossimi giorni più i politici che i giuristi. A questi ultimi, e in questo caso a chi scrive, il compito che speriamo risulti più facile, visto che in questo ruolo non c’è necessità di fare speculazioni politiche e ideologiche, come invece per altre figure c’è oggettivamente un rischio grave. Una prima considerazione riguarda la paternità del risultato a livello generale. Non vi è e non può esservi alcun dubbio circa il fatto che il successo è dello Stato di diritto, inteso come insieme di leggi ed organi che uno Stato sovrano come il nostro emana e fa applicare. Lo ha ribadito il Presidente della Repubblica, non ce ne sarebbe quindi ulteriore bisogno di ripeterlo, ma qualche volta è bene tornare a definizioni che sembrano accademiche o scolastiche, ma che mi pare vengano spesso dimenticate.
Si tratta di quello Stato che è di tutti, che per tutti garantisce equità e possibilità di esercitare diritti, insieme al rispetto di doveri fondamentali garantiti dalla carta costituzionale e dalle leggi che ad essa devono rispondere. Le norme infatti rispondono alla Costituzione e non alla politica. Così come le eventuali contestazioni all’ordinamento devono svolgersi nell’ambito degli stretti limiti di legalità che sono consentiti sempre attraverso determinazioni legislative. Per intenderci, è vietato (ed è quindi reato) inneggiare al terrorismo sia con scritte che con opinioni, dato che questo è già avvenuto e sta avvenendo mentre scriviamo.
Senza dire che avallare in qualche modo una qualche tolleranza verso atti terroristici di Battisti o chi li ha compiuti (ricordo sommessamente che trattasi di fatti provati e già definiti con sentenze inappellabili) costituisce esempio di rara e pericolosa negatività per le giovani generazioni, quelle che non hanno vissuto per fortuna gli anni di piombo e che hanno però necessità di conoscerne i tristi esiti ma anche i successi dello Stato contro l’eversione. Ma ciò che mi preme sottolineare sopra ogni cosa è la vittoria del modello investigativo italiano, favorito dalla cosiddetta “diplomazia giuridica”, cioé l’attività preparatoria che precede ed accompagna la cooperazione giudiziaria e di polizia, ed aiuta a creare quel clima di fiducia reciproca e di interistituzionale alla base della soluzione di problematiche a volte annose e approcciate solo sotto il profilo formale. Anche così si arriva al più volte da me citato impianto “osmotico” tra intelligence e forze di polizia. Quello che citiamo ad esempio ogni volta che dobbiamo commentare, e al sottoscritto è purtroppo sovente accaduto, dei fatti di terrorismo avvenuti in altri paesi del mondo.
Battisti è stato catturato grazie ad una efficace azione di polizia, con una professionalità che deve essere di esempio non solo per i modelli di ordine pubblico ed Intelligence dei nostri alleati, ma soprattutto deve costituire base di comportamento per chiunque dovesse trovarsi a dover reclamare la protezione dello Stato. Abbiamo uomini e donne capaci di contrastare qualsiasi minaccia con le armi della democrazia del diritto, e non dell’arbitrio e della violenza.
Indubbiamente non possiamo non evocare il carcere duro per Battisti e per quanti, terroristi o mafiosi non importa, non abbiano compreso che, alla fine, nonostante ciò che possa sembrare rileggendo la storia, la forza delle istituzioni è sempre proporzionalmente maggiore di quella dei delinquenti. Resti inteso che non trattasi di “vendetta”, altrimenti non sarebbero le istituzioni a declinare la pena, ma i parenti delle vittime. Detto questo il cosiddetto regime carcerario del 41 bis è risultato vincente con i boss della mafia, e chi scrive ritiene possa esserlo anche con i terroristi e i delinquenti più pericolosi. Qui però serve un intervento chirurgico sul nostro codice penale. Ogni legge, d’altra parte, per definizione è sempre perfettibile.
L’autore è Direttore del Centro di Ricerca su Sicurezza e Terrorismo