L’Autonomia differenziata farà collassare la sanità nel Sud Italia. L’allarme viene lanciato dalla Fondazione Gimbe, denunciando che il ddl Calderoli “potrebbe segnare un punto di non ritorno nell’equità dell’assistenza sanitaria tra le Regioni italiane in un contesto caratterizzato dalla grave crisi di sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale”.
Il report sull’Autonomia differenziata nella sanità di Gimbe esamina le criticità del provvedimento, analizzandone il potenziale impatto sul Servizio sanitario. Le analisi effettuate dal 2010 dalla Fondazione documentano “enormi divari in ambito sanitario tra il Nord e il Sud del Paese e sollevano preoccupazioni riguardo all’equità di accesso alle cure”. Per Gimbe l’Autonomia causerà “un disastro sanitario, economico e sociale senza precedenti”.
L’allarme della Fondazione Gimbe sulla sanità con l’Autonomia differenziata
Il presidente della Fondazione Gimbe, Nino Cartabellotta, spiega che “le prestazioni sanitarie che le Regioni devono garantire gratuitamente o previo il pagamento del ticket (valutati con la griglia Lea nel decennio 2010-2019)” fanno emergere “che nelle prime 10 posizioni non c’è nessuna Regione del Sud e che le tre Regioni che hanno richiesto maggiori autonomie si collocano nella top five della classifica”.
Con il nuovo Sistema di garanzia che ha sostituito la griglia Lea, si spiega ancora nel report, nel 2020 su 11 Regioni adempimenti l’unica del Sud è la Puglia, mentre nel 2021 si sono aggiunte anche Abruzzo e Basilicata. In entrambi gli anni le Regioni del Sud “sono ultime tra quelle adempienti”, in ogni caso.
Gimbe sottolinea che “nel 2022, a fronte di un’aspettativa di vita alla nascita di 82,6 anni (media nazionale), si registrano notevoli differenze regionali: dagli 84,2 anni della Provincia autonoma di Trento agli 81 anni della Campania, un gap ben 3,2 anni”. In tutte le otto Regioni del Mezzogiorno “l’aspettativa di vita è inferiore alla media nazionale, spia indiretta della bassa qualità dei servizi sanitari regionali”.
La mobilità sanitaria e anche il Nord a rischio
Un’altra analisi effettuata è quella relativa alla mobilità sanitaria, che “conferma la forte capacità attrattiva delle Regioni del Nord e la fuga da quelle del Centro-Sud: infatti, nel periodo 2010-2021 tutte le Regioni del Sud ad eccezione del Molise (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Sardegna e Sicilia) hanno accumulato complessivamente un saldo negativo pari a 13,2 miliardi, mentre sul podio per saldo attivo si trovano proprio le tre Regioni che hanno già richiesto le maggiori autonomie”.
Qualche dato chiarisce ancora meglio la situazione: “Nel 2021 su 4,25 miliardi di euro di valore della mobilità sanitaria, il 93,3% della mobilità attiva si concentra in Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto, mentre il 76,9% del saldo passivo grava su Calabria, Campania, Sicilia, Lazio, Puglia e Abruzzo”.
E un altro rischio, sottolineato dalla Fondazione, è che non sia solo il Sud a rimetterci, ma anche il Nord. L’indebolimento dei servizi sanitari del Mezzogiorno, spiega Gimbe, può generare un effetto paradosso nelle Regioni più ricche che, “per la grave crisi di sostenibilità del Ssn non possono aumentare in maniera illimitata la produzione di servizi e prestazioni sanitarie”. E così, il rischio è che la mobilità sanitaria verso queste Regioni aumenti, andando a peggiorare l’assistenza sanitaria per i residenti.