Che spettacolo, l’altro pomeriggio, ai giardinetti di via Morgagni, dietro l’incasinatissimo corso Buenos Aires. Al “compagno” Beppe Sala, candidato del Pd renziano come sindaco di Milano, è toccato esibirsi tra i vecchietti su un campo di bocce, sforzandosi di assumere le movenze giuste e il tocco di fino. Una mossa pop per provare a cancellare gli scivoloni dei giorni precedenti sulla casa in Engadina, dimenticata nella dichiarazione pre-candidatura, e sulla villa in Liguria ristrutturata con modalità discutibili. Ma anche una scelta, quella delle bocce, per marcare la differenza con la cruda metafora di Matteo Renzi, per il quale “vincere a Milano è un calcio di rigore”. A Mister Expo quella frase non è piaciuta e non ne ha fatto mistero, affermando che “i calci di rigore sono un elemento fondamentale del calcio, ma io non ne sono un entusiasta. Io comunque non ho bisogno di essere responsabilizzato perchè mi responsabilizzo da solo”. Insomma, per Sala è inutile che l’uomo di Palazzo Chigi gli metta pressione.
Due gemelli a Milano
Del resto nel Giglio Magico gira una battuta maligna, attribuita a Renzi: “Ma questo Parisi non potevamo candidarlo noi?” Il fatto è che Stefano Parisi, il candidato di un centrodestra stranamente unificato, va forte nei sondaggi e potrebbe dimostrarsi un avversario ben più ostico del previsto. Come Sala è un manager e come Sala ha fatto il direttore generale del Comune (con Gabriele Albertini sindaco). Inoltre, prima di approdare al privato con Fastweb, ha lavorato per la Cgil e ha militato nel partito socialista. La campagna l’ha impostata sul calo delle tasse comunali, sulla vendita delle partecipate, sulla sicurezza e sull’immigrazione, ma senza i toni di Matteo Salvini. Sala invece ha faticato perchè non poteva promettere chissà quali cambiamenti rispetto a Giuliano Pisapia, che lo sostiene. E a turbare il “rigorista” di Renzi ci sono anche le alleanze per i ballottaggi. Basilio Rizzo, candidato della sinistra, lascia poche speranze: “Se uno dice che vuole vendere le partecipazioni, che vota sì al referendum e non dà garanzie su politiche a favore dei cittadini meno ricchi, è complicato trovare un terreno di accordo”.