Alla fine nessuno dei 14 impresentabili “schedati” dalla Commissione Antimafia è stato eletto. Pericolo scampato? Niente affatto. Contrariamente a quello che si pensa e che è emerso nei giorni pre-elettorali, infatti, la relazione della Commissione presieduta da Rosy Bindi apriva anche altri focus. Focus molto interessanti, specie alla luce del risultato delle urne.
CAOS A PLATÌ – Cominciamo da Platì. Qui l’Antimafia non aveva fatto veri e propri nomi di candidati. Eppure nella relazione ci si soffermava sul candidato sindaco Rosario Sergi. Dagli atti di indagine risulta avere “rapporti di affinità con esponenti del vertice della cosca Barbaro, tanto con la frangia denominata Castanu che con quella denominata Nigru“. In particolare – scrive l’Antimafia – tra i rapporti per vincolo di affinità rientra Francesco Barbaro, il capostipite, condannato per sequestro di persona a scopo di estorsione per l’omicidio del comandante della stazione dei carabinieri di Platì, il brigadiere Antonino Marino, ucciso a Bovalino nel 1990. E ancora, sempre tra i rapporti per vincolo di affinità, vi sono i fratelli Barbaro Nigru, “alcuni dei quali condannati per gravi reati e sottoposti, in passato, alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale”. Finita qui? Certo che no. L’Antimafia, infatti, rilevava anche che dagli atti acquisiti risulta che Sergi ha organizzato la manifestazione che si è tenuta il 29 marzo di quest’anno, in dissenso con alcune dichiarazioni dell’onorevole Marco Minniti. A quella manifestazione, erano presenti circa cento persone, tra cui numerosi esponenti di famiglie di ‘ndrangheta operanti nel territorio. Ebbene, Rosario Sergi è il nuovo sindaco di Platì, dopo aver raccolto il 63,4% dei voti e, soprattutto, dopo ben dieci anni di commissariamento per infiltrazioni mafiose. Cambierà il vento? Chissà. Certo è che non si parte sotto i migliori auspici, considerando che proprio ieri i componenti della lista avversa, Platì Res Publica, hanno reso noto che non faranno parte del Consiglio Comunale di Platì “atteso che il progetto della lista Platì Res Publica non ha trovato la condivisione di 1275 cittadini platiesi e non si concilia con il progetto della lista Liberi di Ricominciare. Ringraziamo di cuore i 734 elettori che ci hanno dato la loro fiducia nella consapevolezza che condivideranno la nostra decisione. Auguriamo ogni bene a Platì”. Insomma, a Platì resterebbe solo una lista. E, peraltro, una lista su cui ci sono non poche ombre.
OMBRE IN CALABRIA – È questo l’unico caso? Certo che no. Rimaniamo in Calabria. A San Sostene, in provincia di Catanzaro, a vincere è stato Luigi Aloisio, “già sindaco per due consiliature (terzultima e penultima) e coniuge del sindaco uscente Patrizia Linda Cecaro”, prima che il comune venisse sottoposto ad accesso. Ma non basta: “tra i ventidue candidati, sei nominativi di tale lista, risultano già facenti parte, quali consiglieri di maggioranza e di minoranza” del consiglio comunale commissariato.
Restiamo in provinicia di Catanzaro e andiamo a Badolato. Qui a vincere le elezioni è stato Gerardo Mannello (51,51% dei voti). Ebbene, nella relazione si legge che “lo stesso è già stato sindaco del comune di Badolato dal 10 marzo 1997 al 12 maggio 2001 e nella consiliatura avviata nel 13 maggio 2001, conclusa anticipatamente il 30 ottobre 2002, con lo scioglimento del consiglio per le dimissioni di nove consiglieri”. Anche se, precisa la stessa Commissione, Mannello a oggi non risulta avere situazioni giudiziarie tra quelle rilevanti ai fini della legge Severino o del codice di autoregolamentazione.
GLI ALTRI CASI – Ma non è finita qui. Perché l’attenzione resterà alta anche in altri Comuni. In Provincia di Vibo Valentia, infatti, precisamente a Ricadi, tra i candidati ce n’erano diversi “gravati da precedenti penali” o con rapporti “con personaggi riconducibili alla storica famiglia di ‘ndrangheta dei Mancuso”. Nomi non se ne fanno, ma il rischio che – secondo la Commissione Antimafia – resta decisamente alto. Un rischio riscontrabile non solo in Calabria. Andiamo in Liguria, a Diano Marina. Anche qui spuntano “frequentazioni con soggetti gravati da precedenti penali e di polizia, nonché più specificatamente con personaggi riconducibili a storiche famiglie di ‘ndrangheta, come le famiglie Papalia e De Marte”. Una situazione simile a quella riscontrata anche a Valle di Briano, in provincia di Caserta. Anche qui non vengono fatti nomi, ma il quadro d’insieme, ancor prima delle elezioni, mostra “un profilo di rischio meritevole di ulteriore attenzione e vigilanza da parte di questa Commissione e stretto monitoraggio da parte delle competenti autorità locali”.
IMPRESENTABILI TROMBATI – Certo, il bicchiere non è totalmente vuoto. Come detto, infatti, nessuno dei 14 impresentabili entrerà in consiglio comunale. A Battipaglia, per dire, ce n’erano sette. Carmine Fasano rappresenta Azione Civica-Tozza sindaco: ha patteggiato un anno di reclusione per cessione illecita di stupefacenti. Ebbene, Fasano ha preso 10 voti. Daniela Minniti, candidata per Battipaglia Popolare, è stata condannata a 2 anni per bancarotta fraudolenta: 3 voti. Con lo stesso reato Lucio Carrara (che corre con Battipaglia con cuore-Motta sindaco) ha qualche problema: prima una condanna, poi un patteggiamento, pena finale 2 anni. Alle urne l’hanno votato in 67. Francesco Procida, che sostiene sempre l’aspirante sindaco Motta con la lista Speranza per Battipaglia, porta in dote la pena di 2 anni e 9 mesi per riciclaggio. E alla fine ha ottenuto 24 preferenze. E così via tutti gli altri. In Campania come in Calabria, dove non entrano né Carmelo Bagnato, candidato a Scalea con la lista “Per la tua città” (ha ottenuto 56 voti), né Alessandro Codispoti, che ha raccolto solo 22 preferenze a San Sostene. Codispoti era stato condannato in appello a 4 anni per reati in materia di stupefacenti. Ultima nota per Simone Di Stefano, candidato a sindaco di Roma con CasaPound (di cui è pure vicepresidente). Fu arrestato per furto in flagranza di reato: il 14 dicembre 2013 si portò via la bandiera dell’Unione europea nel corso di un blitz nella sede dell’Ue a Roma. Di Stefano fu poi condannato a 3 mesi. E ora, alle urne, ha convinto un buon numero di suoi concittadini, ma non tale da entrare in Campidoglio: 14.711 preferenze. L’1,14%.
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