In un’Europa già provata da crisi su crisi l’ultima novità che giunge da Bruxelles ha il sapore amaro dell’ennesimo incaglio. La Commissione von der Leyen, ancora in fase embrionale, sta perdendo pezzi come un vecchio orologio mal assemblato. L’ultimo ingranaggio a saltare è stato nientemeno che Thierry Breton, il commissario francese che ha deciso di abbandonare la nave prima ancora che salpasse, lanciando accuse che fanno tremare i vetri del Berlaymont.
Il terremoto Breton: accuse e dimissioni scuotono Bruxelles
Ma andiamo con ordine, se di ordine si può parlare in questo caos istituzionale che sta facendo impallidire persino i più cinici osservatori della politica europea. Breton, indicato da Macron per un secondo mandato, ha improvvisamente gettato la spugna, accusando Ursula von der Leyen di aver giocato sporco. Secondo il commissario dimissionario, la presidente avrebbe tentato di convincere Macron a scaricarlo, promettendo in cambio un portafoglio più succulento per la Francia. Una mossa degna del più basso mercanteggiamento politico, che fa sembrare le trattative per un governo italiano un esempio di fair play.
Von der Leyen, nel suo tentativo di creare una Commissione equilibrata dal punto di vista di genere – un nobile intento, non c’è dubbio – sembra aver scambiato Bruxelles per un set televisivo dove si possono sostituire i concorrenti a piacimento. Slovenia e Romania hanno già dovuto ritirare i loro candidati maschi, sostituendoli con figure femminili.
Ora c’è la lettera di dimissioni di Breton, un documento che meriterebbe di essere incorniciato e appeso nelle aule di scienze politiche come esempio di come non gestire una transizione di potere. Il commissario uscente accusa von der Leyen di una “governance discutibile”, un eufemismo che nasconde probabilmente un giudizio ben più severo. E quando un uomo che ha passato gli ultimi cinque anni a navigare le acque della politica europea parla di “governance discutibile”, c’è da preoccuparsi seriamente.
“Negli ultimi cinque anni, mi sono sforzato incessantemente di sostenere e promuovere il bene comune europeo, al di sopra degli interessi nazionali e di partito. È stato un onore”, ha scritto Breton nella sua lettera. “Tuttavia, alla luce di questi ultimi sviluppi – ulteriore testimonianza di governance discutibile – devo concludere che non posso più esercitare i miei doveri”
Una Commissione in bilico: le sfide dell’Europa nell’era dell’incertezza
Il timing di questa débâcle non potrebbe essere peggiore. L’Europa si trova ad affrontare sfide epocali: una guerra alle porte, una crisi energetica che minaccia di mandare in tilt le economie del continente, per non parlare dei venti di populismo che soffiano sempre più forti.
La mossa di Breton getta ora Parigi nel caos. Macron si trova a dover nominare un nuovo candidato commissario, in un momento in cui la Francia avrebbe bisogno di tutta la sua influenza a Bruxelles. E non è un segreto che i rapporti tra l’Eliseo e la Commissione fossero già tesi prima di questo incidente diplomatico.
Quello che emerge da questo pantano istituzionale è l’immagine di un’Europa incapace di gestire persino i suoi processi interni più basilari. Se questo è il livello di competenza e coesione che possiamo aspettarci dalla nuova Commissione, c’è da chiedersi come potrà affrontare le sfide titaniche che l’attendono.
La strada per la nuova Commissione si preannuncia lunga e tortuosa. E mentre a Bruxelles si gioca a scacchi con le poltrone, il resto del mondo non aspetta. La speranza è che da questo caos possa emergere una leadership all’altezza delle sfide che ci attendono. Ma al momento, l’unica certezza è che la Commissione von der Leyen sta perdendo pezzi ancora prima di partire. E con essa, rischia di sgretolarsi anche la credibilità dell’intero progetto europeo.