di Astrid N. Maragò
Mollettoni di plastica in libera uscita, orde di passeggini ululanti e adolescenti dallo schiamazzo facile che fanno a spallate tra le bancarelle del mercatino rionale sporco e caotico allestito in San Paolo.
Ecco quello che rimane, tra una birra e l’altra, dell’edizione 2013 della festa del Pd capitolino. Del programma dei dibattiti, neanche l’ombra. Deserti gli stand che vendono libri, e nessuna traccia di quella deliziosa bancarella che riportava alla luce vecchie pagine di quotidiani vintage. Solo panini unti e scarpe orribili. Poi il karaoke alla bocciofila tra le ventate di cattivo odore. E infine un povero, rassegnato, Che Guevara affisso sul muretto di un bar.
Privato da ogni residuo di radicalchicchismo, quel che resta della Festa dell’Unità ha oggi perso ogni attrattiva. Una volta era il punto di riferimento – nelle calde serate dell’estate romana – per le giovani menti democratiche del non-pensiero, giornalisti dell’area e politici noti e meno noti che amavano sedersi e confondersi tra gli elettori.
Quest’anno invece l’atmosfera lascia molto a desiderare. Organizzata sotto il segno dell’austerity, anche a causa del trasloco forzato a Parco Schuster, ha assunto le tristi sembianze di una festa di paese. La vecchia location delle Terme di Caracalla era meta di affezionati del genere e vecchie glorie delle sezioni romane Ds. Quella di oggi ospita una festa popolare di quartiere. Squallida, per di più.
E l’Unità? Non pervenuta. Del resto, come cercarla in questo momento proprio all’interno del Pd?