Meglio curare che prevenire. No, nessuno sbaglio. Né di forma né tantomeno di sostanza. Più semplicemente, è quello che succede in Italia quando si parla di terremoti. Eventi drammatici coi quali tutti, più o meno, ci siamo purtroppo trovati a fare i conti una volta nella vita. L’ultimo caso in ordine di tempo è quello che ha riguardato l’isola di Ischia, colpita il 21 agosto da un sisma di magnitudo 4 sulla scala Richter, che a Casamicciola ha lasciato sotto le macerie due morti. Perché il problema, inutile girarci intorno, si riduce sempre a una parola: prevenzione.
Fanalino di coda – Così, proprio pochi giorni dopo il terremoto di Ischia, l’Uvi, l’Ufficio valutazione impatto del Senato nato il primo agosto e guidato dal presidente Pietro Grasso, ha pubblicato un dossier – realizzato in collaborazione con l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv) – che ha analizzato risorse e interventi messi in campo dopo i terremoti de L’Aquila (2009), dell’Emilia-Romagna (2012) e del Centro Italia (2016). Ebbene, il dato che prima di ogni altro emerge dallo studio è quello relativo alle somme che i Governi che si sono alternati in questi anni hanno stanziato per ricostruire i territori devastati: 20,1 miliardi di euro. Non solo. Altri 18,7 sono infatti previsti per il periodo 2018/2047. Totale: 38,8 miliardi. Nello specifico, circa 17,5 miliardi sono stati destinati per il sisma de L’Aquila, 8,2 per quello in Emilia (e zone limitrofe) e altri 13,2 per Amatrice e i 139 Comuni del cratere. Ma a colpire, sfogliando il documento di 118 pagine pubblicato sul sito del Senato, è quanto sottolineato proprio a proposito alla prevenzione. “Lo stanziamento di risorse destinate a questo scopo – dice apertamente il dossier – è solo sporadicamente inserito nei provvedimenti analizzati, tutti specificamente volti a fronteggiare le conseguenze dei terremoti”. Analizzando gli stanziamenti messi in campo, infatti, l’Uvi scrive chiaro e tondo che “l’analisi per finalità di intervento evidenzia come complessivamente l’85% delle risorse è stato destinato alla ricostruzione, l’8% alle attività produttive, il 4% alle pubbliche amministrazioni e il 3% a fronteggiare le emergenze”.
Il precedente – Insomma, è sempre la solita storia. Già tre anni fa, presentando uno studio che calcolava i danni dei vari sismi (partendo da quello del Belice nel 1968), il direttore del Centro studi del Consiglio nazionale ingegneri, Luigi Ronsivalle, spiegò che “se lo Stato italiano stanziasse una quota annua equivalente a quella spesa per far fronte ai costi di ricostruzione post terremoto, si potrebbero programmare interventi, modulati sulla base dei rilevamenti preventivi, che nel giro di pochi anni consentirebbero di mettere in sicurezza tutto il territorio nazionale, facendo risparmiare gli ingenti costi indotti oltre naturalmente e principalmente la vita di migliaia di persone”. E ancora: “Duole constatare come le competenze tecniche degli ingegneri e gli avanzati mezzi di indagine sugli edifici vengano utilizzati solo dopo eventi disastrosi, mentre potrebbero essere più intelligentemente impiegati per un monitoraggio preventivo ‘a tappeto’ su tutto il territorio nazionale”. Tutto inutile. Curare è meglio che prevenire. Purtroppo.