Prudenza, cautela, obiettivi realistici e sostenibili finanziariamente. Con queste parole la premier Giorgia Meloni, supportata dal più draghiano dei membri dell’esecutivo – il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti – ha stoppato i sogni di gloria degli alleati che puntavano a piantare in Manovra (il Cdm è ancora in corso quando il giornale va in stampa, qui la nota di Palazzo Chigi) le proprie bandierine. Il bagno di realtà a cui Meloni ha costretto i suoi alleati parte da una considerazione di fondo: la mancanza di risorse.
La prima Manovra Meloni fa felici solo gli evasori. Addio Reddito di cittadinanza agli occupabili. Una miseria dal taglio del cuneo e due spicci ai pensionati
Degli oltre 30 miliardi a disposizione due terzi – vale a dire oltre venti miliardi – sono destinati alle misure contro il caro – energia (che per lo più prorogano gli interventi decisi dal governo Draghi) il resto è da spalmare, in piccole dosi, tra cuneo, pensioni, spese indifferibili. Nessuno spazio per realizzare le promesse elettorali in grande.
Così del taglio del cuneo fiscale da cinque punti annunciato da Fratelli d’Italia rimane la proroga della sforbiciata da due punti di Draghi per i redditi fino a 35mila euro e il taglio di tre per quelli sotto i 20mila. Un taglio che per chi guadagna mille euro netti al mese si traduce in pochi spicci in più, una quindicina di euro al mese, poco più di una decina per chi ne porta a casa 750.
Addio flat tax incrementale di meloniana memoria, della tassa piatta rimane solo l’innalzamento del tetto da 65 a 85mila euro per gli autonomi. Quota 41 per le pensioni della Lega passa ma in abbinata al requisito anagrafico dei 62 anni di età. L’aumento delle pensioni minime a mille euro di Forza Italia c’è ma si ferma a 600 e non a mille come avrebbe voluto il partito di Silvio Berlusconi.
Gli azzurri portano a casa anche gli sgravi contributivi per chi assume under 36. Sulla stretta al reddito di cittadinanza, dopo le frizioni in maggioranza, tra chi sosteneva una linea più soft rispetto a quella della Meloni che lo avrebbe tolto tra sei mesi a tutti i beneficiari occupabili, il punto di caduta si trova nella formula dell’anno transitorio – il 2023 – nel quale chi non è in grado di lavorare avrà piena tutela e chi è in grado di lavorare invece avrà una riduzione dei mesi di sostegno, da 12 a otto. A sostenere la linea più morbida erano la ministra del Lavoro, Marina Calderone – che proponeva un anno di cuscinetto – e la componente meridionale di Forza Italia.
L’attacco al Reddito di cittadinanza scatena l’ira del leader del M55 Giuseppe Conte che invoca la piazza per difendere quella che definisce “la misura più di sinistra varata negli ultimi 30 anni, al pari dello Statuto dei lavoratori o all’istituzione del Servizio sanitario nazionale”. L’ex premier si scaglia contro il “piano folle” del governo. “E’ disumano tagliare il reddito di cittadinanza anche solo alle persone occupabili. Si tratta di una platea di 660mila persone, molte delle quali hanno già compiuto 50-60 anni, hanno grosse difficoltà a ricollocarsi sul mercato del lavoro e non hanno di che mangiare”, dice Conte.
“Ecco perché il M5S è pronto a tutto, a contrastare questo proposito disumano del governo scendendo anche nelle piazze, non solo nelle sedi istituzionali”. Il passaggio di ieri non chiude comunque la partita: i giochi si faranno anche durante l’esame parlamentare, dove alcune misure potrebbero essere ripescate come emendamenti. L’iter partirà dalla Camera, dove il testo è atteso in commissione verso la fine della settimana.
Durante la riunione di maggioranza si sarebbe anche riaperta la divisione tra chi sul cuneo avrebbe preferito un intervento anche a favore degli imprenditori e chi invece, come lo stesso Giorgetti, punta tutto sui lavoratori. è tornata ieri a farsi sentire Confindustria. Per gli industriali “è positiva l’intenzione di mettere risorse sul caro bollette per imprese e famiglie”, ed “è positivo che il Governo intenda mantenere la barra dritta sulla finanza pubblica senza smarrire il piano Draghi sulla riduzione del debito” ma – avverte ancora una volta Carlo Bonomi – “serve un intervento shock sul cuneo”.
Pari a 16 miliardi: due terzi ai lavoratori, un terzo alle imprese. Se invece di dare risposte alle esigenze delle imprese “si darà spazio a prepensionamenti, finte flat tax e bonus sull’Irpef non lo capiremo”.