di Andrea Koveos
La Coca Cola in Italia non è light, è super light. E la leggerezza non riguarda il gusto ma la pressione fiscale che per la multinazionale delle bibite è piuttosto delicata. Infatti, per quelli della bevanda scura l’acqua (componente principale), non costa nulla, o quasi. Una spesa irrisoria per una società che in Italia fattura più di un miliardo di euro. Quanto paga per avere la nostra acqua? Briciole, che secondo Altreconomia non superano qualche decina di migliaia di euro. Ma c’è di più.
Nel 2011 la Coca-Cola Hbc Italia Srl ha prelevato 2 miliardi e 400 milioni di litri in cambio di tasse davvero irrisorie stabilite dalle Regioni per l’uso del bene pubblico. In pratica, “la Regione Veneto che ospita in più grande stabilimento in Italia della Coke (Nogara provincia di Verona) richiede un canone di 13mila 406 euro per almeno un miliardo 270 milioni di litri d’acqua succhiati. Non solo, fino al 2018 la multinazionale potrà sfruttare tre pozzi, tutti da falda sotterranea”.
Coca Cola ha interessi in molte regioni. “Oltre a Nogara e a Gaglianico (Belluno) – sempre secondo Altreconomia – gli stabilimenti sono a Marcianise, in provincia di Caserta, Elmas, in provincia di Cagliari (in fase di dismissione), Oricola, nei pressi de L’Aquila. E ancora in Basilicata a Rionero e a Monticchio (Potenza) con depositi in Toscana e Lombardia e un centro assistenza in Emilia Romagna a Campogalliano (Modena)”.
Nel nostro Paese i canoni di sfruttamento delle sorgenti, che variano da regione a regione, sono modestissimi e non dipendono dalla quantità di acqua imbottigliata o sfruttata. Quindi c’è da chiedersi quanto incasserebbe lo Stato se applicasse un aliquota più alta, in considerazione dei guadagni miliardari realizzate anche da tutte le società che imbottigliano e usano l’acqua. Per Legambiente se si applicasse un canone uniforme su tutto il territorio di 10 euro al metro cubo si arriverebbe ad avere un introito di 123 milioni di euro l’anno. Tutti soldi che potrebbero essere utilizzati dagli Enti locali che, giustamente, lamentano enormi tagli ai trasferimenti dallo Stato.
Con un aliquota di 10 euro al metro cubo (oggi se ne pagano al massimo 3) cifra assolutamente in linea con il mercato, la Liguria passerebbe da 3.300 euro l’anno per le 5 concessioni attive sul territorio a oltre 1 milione di euro. Stesso discorso per la Basilicata che dagli attuali 323 mila euro arriverebbe a quasi 10 mila euro, mentre la Sardegna dagli attuali 39 mila euro salirebbe a 2milioni e 500 mila. Se poi si applicassero dei canoni sulla quantità d’acqua effettivamente prelevata si potrebbe ipotizzare un incasso complessivo di quasi mezzo miliardo di euro con un immediato ritorno economico per Comuni, Province e Regioni. Un aiuto concreto ai sindaci che in questo momento si trovano in grandi difficoltà e quasi non riescono a garantire i servizi minimi ai cittadini. “Coca Cola in Comune” sarebbe il più grande spot che la multinazionale americana potrebbe realizzare. Forse ancora meglio dell’operazione che portò nel 2006 Mario Monti nella grande famiglia del colosso americano. L’ex presidente del Consiglio fu assunto dalla Coke come membro dell’international advisory board dopo esserne stato, da commissario Ue alla concorrenza, un acerrimo avversario. Il Professore aveva accusato il colosso statunitense di offrire agevolazioni sleali ai rivenditori del prodotto. La Coca Cola non è soltanto una multinazionale è una potenza economica e politica presente in ogni parte del mondo. La società italiana, ha sede a Milano. L’amministratore delegato è Sotirios Yannopoulos.
“La sigla Hbc sta per Hellenic Bottled Company. È infatti controllata al 100 per cento da Coca-Cola Hellenic Bottling Company S.A., nata nel 2000 dalla fusione tra HBC, con sede ad Atene, e Coca-Cola Beverages, con sede a Londra. È una società quotata ad Atene, New York e Londra, che imbottiglia e distribuisce prodotti a marchio The Coca-Cola Company in 28 Paesi (27 in Europapiù la Nigeria)”.