L’ultimo campanello di allarme arriva da Asti. L’inchiesta portata avanti dalla Dda di Torino ha fatto emergere l’esistenza di una struttura territoriale della ‘ndrangheta in Piemonte, una “locale” che era riuscita ad impiantarsi anche tramite il calcio. Oltre al racket e al narcotraffico, hanno spiegato non a caso gli investigatori, “il sodalizio esercitava il controllo del territorio con infiltrazioni mafiose in alcune società di calcio”. Ma che dietro il mondo dello sport più amato d’Italia ci sia la presenza sempre più invasiva della criminalità organizzata è un fatto ormai acclarato, come emerso nella relazione che la commissione Antimafia ha consegnato alle Camere prima della fine della legislatura: 99 pagine dense, da cui emergono legami a doppio filo tra tifoserie e famiglie mafiosi, rapporti e amicizie inquietanti di alcuni calciatori con esponenti di spicco della criminalità e un mondo dilettantistico incontrollato, coacervo spesso di interessi illeciti.
Tifo malavitoso – Non si pensi, però, che il fenomeno non interessi il calcio professionistico. È il caso della ‘ndrangheta a Torino, che è riuscita ad inserirsi come “intermediaria e garante nell’ambito del fenomeno del bagarinaggio gestito dagli ultras della Juventus”. Un fenomeno, questo, che ha origini lontane. Nel 2012, infatti, nel corso di un’indagine su un’associazione mafiosa di origine rumena, un collaboratore di giustizia aveva dichiarato che tra gli affari del sodalizio rumeno vi era “anche un’attività relativa alla cessione a terzi di abbonamenti per partecipare alle partite della Juventus”, attività però già allora condotta “previa autorizzazione di criminali di origine calabrese, con i quali il sodalizio mafioso rumeno trattava stupefacenti”. Altra storia, invece, a Napoli, dove la presenza camorristica in curva è “territoriale”, come la definisce la stessa Antimafia. Il motivo? Presto detto: all’interno dello stadio San Paolo esiste una precisa suddivisione tra la curva A la curva B, che rispecchia “non solo ma anche, purtroppo, i gruppi camorristici” di provenienza. Se l’ex boss di Secondigliano Antonio Lo Russo (oggi pentito) aveva influenza nella curva B, Genny ‘a carogna aveva influenza in parte di quella A. Non sono immuni nemmeno le tifoserie di Roma e Lazio, entrambe legate a personaggi dell’estrema destra e della criminalità capitolina (nel report spunta anche Massimo Carminati), tanto che, scrive l’Antimafia, “la contrapposizione fra le tifoserie è più apparente che reale, e trova momenti di significativa unità su temi come la violenza e il razzismo”.
Business illegale – C’è poi il larghissimo capitolo delle società infiltrate. Lo schema di riciclaggio più ricorrente in questo caso è il classico che si ha anche in altri settori economici: acquisto di club che versano in difficoltà tramite prestanome per ripulire poi il denaro e rivendere poi il club. Palazzo San Macuto fa soprattutto un esempio: quello del Mantova calcio. “Soggetti legati a un clan della camorra, al fine di tener celata la propria riconducibilità all’organizzazione criminale, avrebbero frazionato artatamente le proprie quote nella società, in modo da evitare la soglia del 10% oltre la quale è invece richiesta l’informazione antimafia”. E ciò accade soprattutto nel mondo dilettantistico, dove i controlli sono molto eterei. Negli ultimi 12 mesi, non a caso, sono arrivate all’Antimafia 5 segnalazioni: si tratta dei casi della Polisportiva Laureanese, della società Fronti di Lamezia Terme, del Città di Foligno, dell’Ilva Maddalena e dell’Isola Capo Rizzuto.