Quando c’è crisi la criminalità non perde tempo e attacca, come una sanguisuga, sapendo bene di poterci guadagnare. La pandemia prima e la crisi energetica poi, hanno creato le basi ideali per le organizzazioni criminali che hanno aggredito un mercato messo in difficoltà.
Non per niente associazioni antiusura, Confcommercio e la Direzione nazionale antimafia in tempo di Covid avevano lanciato “l’allarme mafie”. È solo uno degli aspetti che emerge dal report “Mafie nel Lazio” – curato dall’Osservatorio tecnico-scientifico per la Sicurezza e la Legalità – che tenta di fare il punto sullo stato di salute della criminalità nel Lazio.
La geografia
Cosa è emerso? Che il Lazio, vista la molteplicità di forme criminali presenti, risulta un unicum in Italia rispetto alle altre regioni dove, tradizionalmente, non si riscontra la presenza di attività mafiose. Da una parte, infatti, molte organizzazioni delle mafie tradizionali, come Cosa Nostra e la ‘ndrangeta, hanno trasferito la propria struttura criminale a Roma; dall’altra proprio la vicinanza di questo modello culturale-criminale mafioso ha in qualche modo ‘contagiato’ le altre organizzazioni criminali presenti sul territorio che ne hanno assunto fattezze e atteggiamenti e che, pur non rientrando nel profilo penale del 416bis, sono caratterizzate dall’utilizzo del metodo mafioso.
Tutto questo ha reso il Lazio un vero e proprio “laboratorio” della criminalità organizzata. Ma come agiscono le famiglie mafiose? Secondo quanto evidenziato dal Rapporto, lo storico modello si è in un certo senso evoluto e oggi diverse organizzazioni criminali agiscono insieme, interagendo l’una con l’altra, organizzandosi per condurre singoli affari e dirimere eventuali controversie. Una modalità che fa ipotizzare una sorta di contaminazione tra i gruppo locali e quelli che agiscono per conto delle grandi mafie italiane e straniere.
E per quanto riguarda la Capitale? Nel rapporto vengono evidenziate tre caratteristiche: “La dinamicità delle famiglie mafiose di Cosa nostra su Roma, una stabilizzazione sempre più evidente delle cosche di ‘ndrangheta nella città, infine una stratificazione degli interessi criminali della camorra pronta a continue alleanze pur di guadagnare un ruolo negli affari romani”. Soltanto per fare dei nomi, già noti alle cronache: Casamonica – forse quello mediatamente più “forte” – Spada e Fragalà, ai quali è stato dedicato un approfondimento nel report. Si tratta di famiglie i cui membri sono oggetto di indagini che in alcuni casi hanno dato origine a misure cautelari o patrimoniali.
Le piazze
Poi ci sono le piazze di spaccio, oltre 100 attive 24 ore su 24, operative principalmente nei quartieri di Tor Bella Monaca, San Basilio, Monte Spaccato, Romanina, Acilia, Primavallle, Ponte di Nona, Tufello, Giardinetti, Borghesiana, Torre Nova, Nuova Ostia, Quartaccio, Tufello e Bastogi.
Vengono gestite attraverso un metodo che il Rapporto definisce “imprenditoriale-criminale”, riconosciuto dai vari gruppi che operano nelle periferie e che garantisce, attraverso una rete di vedette, sicurezza per gli acquirenti e massimo rendimento dallo spaccio di droghe per i venditori.
Grazie alle numerose indagini della Direzione distrettuale antimafia Roma è stato individuato un modello con caratteristiche precise che prevede, appunto, “l’utilizzo di sentinelle, una rigida suddivisione dei compiti, l’impiego sempre più frequente di minorenni e la capacità di sviluppare un controllo del tessuto sociale a partire dal controllo del territorio”.