di Francesco Nardi
Cinquecento milioni di fondi europei sono lì che aspettano. La loro destinazione sarebbe il Grande progetto del Porto di Napoli, così infatti (con straordinaria fantasia) è stato chiamato il grande progetto di ristrutturazione e ampiamento del porto della capitale del sud. Una buona notizia? No, neanche per idea. Come al solito nel nostro Paese tra i progetti e le opere c’è sempre una distanza siderale, abitata da beghe politiche, impedimenti burocratici e soprattutto da politici che, non si sa come, riescono in un modo o nell’altro sempre a rovinare tutto. Il presidente della Regione, Stefano Caldoro, ha appena annunciato che il progetto potrebbe naufragare quando il piccolo mondo antico della politica campana riemerge dal sonno. La levata di scudi è unanime: “il Grande progetto del Porto s’ha da fare assolutamente”. Caldoro però è più pessimista, perché tutti gli interessati “remano ognuno in una diversa direzione”, facendo mancare le condizioni minime di praticabilità del progetto. In breve? “Interessi particolari che vanno a discapito dell’interesse regionale”, ecco come il presidente campano definisce il problema. Per l’opposizione cittadina e regionale però il problema è più complesso della semplice faida per la torta dei fondi europei. Ed ecco allora che arrivano richieste di spiegazioni più dettagliate, a proposito delle lobby e dei gruppi di pressione che si stanno mettendo di traverso. Per non dire della voce sottile ma persistente che riferisce senza troppo girarci intorno della lunga mano sporca della Camorra, che in queste partite vuole sempre essere in campo.
Napoli intanto guarda attonita il teatrino degli indecisi montato sul canovaccio della commedia degli errori. Mentre dai bassi fondali del porto, che per l’appunto andrebbero urgentemente drenati, affiorano ordigni bellici inesplosi di chiara pericolosità.
La guerra dei container con Civitavecchia (è questo uno dei parametri coi quali si misura l’attività dello scalo portuale) intanto, relega quell’enorme città in posizione di netta difficoltà. Cinquecento milioni basterebbero appena, spiegano gli esperti, a cambiare il quadro, che comprenderebbe anche un sistema fognario che salverebbe le acque della darsena. Il problema è che la stessa cifra basta anche ad addensare il fango che impantana il progetto. Del resto, a che serve un porto moderno, se il mare non bagna Napoli?