C’è una famosa immagine che ieri è tornata in mente a molti: Totò Cuffaro che offre i cannoli per festeggiare la sua condanna. Era il 2008 e l’allora presidente della Regione siciliana aveva appena conosciuto la sentenza di primo grado – poi ribaltata – che lo condannava a cinque anni di galera per aver rivelato segreti d’ufficio, ma lo scagionava dall’accusa di favoreggiamento alla mafia. Lo stesso Cuffaro ammise successivamente che non c’era niente da festeggiare, ma di fronte a certe decisioni della magistratura non è raro che scattino inconsce barriere di protezione, al di qua delle quali ci sta l’assoluzione mentre al di là va tutto il resto, quasi a voler negare a se stessi e al mondo una realtà di cui non si vuole prendere atto. Un meccanismo scattato anche in Virginia Raggi, al centro di vicende giudiziarie molto diverse da quelle di Cuffaro, ma da ieri sottoposta a una richiesta di rinvio a giudizio da parte della Procura di Roma. I magistrati hanno archiviato l’ipotesi dell’abuso d’ufficio nella vicenda che ruota attorno alla promozione di Renato Marra, fratello di quel Raffaele che era uno dei suoi più stretti collaboratori, e che la sindaca di Roma invece definì solo uno dei 23mila dipendenti del Comune, a rischio di farsi allungare il naso più di Pinocchio. Per i giudici resta però l’accusa di falso in atto pubblico, con riferimento a quanto da lei scritto all’Autorità nazionale anticorruzione di Raffaele Cantone. In quella lettera la Raggi sosteneva che la scelta di trasferire di incarico Renato Marra era stata solo sua.
Quello che emerge da numerose intercettazioni e trascrizioni di sms di altri collaboratori della sindaca sembrerebbe però provare tutt’altro. Cosa decideranno i giudici se, come è probabile, si andrà processo lo vedremo a suo tempo. Oggi fanno invece riflettere il doppio peso dei Cinque Stelle di fronte alle azioni della magistratura e l’impermeabilità a ogni tipo di critica, o autocritica, ormai tipico nelle reazioni del Movimento, dalla base alla dirigenza. Sull’incoerenza di chi ha fatto del grido Onestà! Onestà! la sua bandiera e poi non ha nulla da dire di fronte a un suo eletto nelle istituzioni che finisce sotto processo è stato già detto molto. Quello che è valso per il sindaco di Parma Federico Pizzarotti, o per quello di Quarto, Rosa Capuozzo, per la Virginia Raggi non vale. Annusata l’aria del rinvio a giudizio il Movimento ha cambiato le sue regole interne e l’espulsione che un tempo era obbligatoria adesso è facoltativa. Tanto chi decide è sempre Grillo e, forse, un po’ il giovane Casaleggio. Ma è la risposta della Raggi e degli ultrà pentastellati, che negano come se nulla fosse qualunque realtà, che fa più spavento.
Pensiero zero – Prendete nota di cosa ha scritto la Raggi con toni trionfalistici sulla sua pagina Facebook subito dopo la decisione della Procura di rinviarla a giudizio: “Per mesi i media mi hanno fatto passare per una criminale, ora devono chiedere scusa a me e ai cittadini romani. E sono convinta che presto sarà fatta chiarezza anche sull’accusa di falso ideologico”. Altrettanto felice Beppe Grillo, secondo cui sono cadute le accuse più importanti, mentre sulla rete la tifoseria dei Cinque Stelle festeggia come se la sindaca fosse stata fatta santa, sorvolando splendidamente sul falso e la mancanza di chiarezza su tutta la vicenda, che la stessa prima cittadina ha contribuito a creare blindando tutt’ora inspiegabilmente quel Raffaele Marra di cui ha promosso il fratello, poi finito agli arresti con l’accusa non modesta di corruzione insieme all’immobiliarista Sergio Scarpellini.
Di fronte a tutto questo, soprattutto sui social network, lo zoccolo duro del Movimento non reagisce più chiedendo spiegazioni ai dirigenti coinvolti o offrendo civilmente la propria visione delle cose, ma passa subito a insultare chiunque racconti semplicemente i fatti. Mentre chi osa un minimo di analisi o di disapprovazione viene letteralmente fucilato, come se fosse colpevole di lesa maestà. Dentro la pancia del Paese si è gonfiata a dismisura una fascia di arrabbiati, che anche per l’effetto incontrollabile della comunicazione sulla rete web si sente detentore di una verità non scalfibile. Tanto che quello stesso popolo che ieri si compattava applaudendo le inchieste dei magistrati adesso quegli stessi magistrati li critica. E li snobba, derubricandone le accuse a semplice fuffa.