Ma che altro deve accadere perché il ministro Matteo Piantedosi si faccia da parte? Che altro deve sbagliare a dire, organizzare male, interpretare peggio per meritarsi il buon retiro che in Italia spetta a qualsiasi politico che proviene dalla pubblica amministrazione e si dimostra del tutto incapace di operare su un piano politico?
Dalla Caporetto sui migranti all’assedio di Napoli. Non si capisce che altro deve succedere per spingere Piantedosi a dimettersi
L’ultimo in ordine di tempo è il saccheggio di Napoli a opera di alcuni criminali travestiti da tifosi che tutti si aspettavano e di cui tutti sapevano. Come giustamente domanda la capogruppo al Senato del M5S Barbara Floridia “durante la giornata di ieri che tipo di strategia è stata adottata da parte di chi è preposto alla sicurezza e perché è miseramente fallita regalando all’Italia e al mondo scene da far west che con tutto hanno a che fare fuorché con lo sport?”. Eppure Piantedosi almeno in questo dovrebbe essere nel suo, essendo stato Prefetto. Niente da fare.
Come dice il capogruppo dell’Alleanza Verdi e Sinistra, Peppe De Cristofaro a Napoli abbiamo assistito a “una vera e propria débâcle che sta tutta sulle spalle del titolare del Viminale”. E pensare che era proprio il suo compagno di governo Salvini a twittare furiosamente chiedendo le dimissioni dell’allora ministro dell’Interno Angelino Alfano quando fu Roma a essere messa sotto scacco dai tifosi (quelli erano turchi) nel 2015: “In un Paese normale i responsabili si dimetterebbero!”.
Ma, grazie anche a Salvini, non siamo un Paese normale. Gli errori di Piantedosi sono così tanti e così in poco tempo che fanno spavento. Si parte a novembre con la genialità del decreto contro i rave party con il governo che si è appena insediato. Una priorità, quella dei rave, che il ministro Piantedosi ha sentita urgentissima per il bene della nazione. In un’intervista al Corriere Piantedosi spiegò che l’obiettivo era di “allineare” l’Italia “alla legislazione degli altri Paesi europei”.
Falso: nessuno degli altri quattro grandi Paesi europei (Francia, Regno Unito, Germania e Spagna) prevede pene così dure come quelle introdotte dal governo Meloni. Sempre a novembre il ministro Piantedosi spiegava in un’intervista che “le navi Ong devono portare i migranti nel loro Stato di bandiera”, una panzana giuridica che ha molto credito in certa destra. Altra figura barbina. Falso: in realtà, altre norme sul soccorso marittimo, come la Convenzione di Amburgo del 1979, prevedono che gli sbarchi debbano avvenire nel primo “porto sicuro” disponibile, sia dal punto di vista del rispetto dei diritti umani sia per prossimità geografica alla località di salvataggio.
Si arriva al febbraio nero per il Prefetto al Viminale. Prima c’è la strage di Cutro con Piantedosi che afferma che “nessuno aveva ravvisato un pericolo”. Però, chissà perché, sono uscite due motovedette della Guardia di Finanza poi rientrato per le impossibili condizioni del mare. Mare impossibile da navigare, altro che “nessun pericolo”. Poi ha accusato i genitori dei migranti di mettere i propri figli su una barca pur di salvargli la vita. “Io non l’avrei fatto con i miei figli” dice Piantedosi.
Gli va bene che i suoi figli sono maggiorenni perché non rischiare la vita pur di sperare in una salvezza sarebbe materia da assistenti sociali. Per mettere una pezza ha detto ai migranti di non partire che sarebbe andato a prenderli. A Salvini tremano ancora le vene e i polsi a ripensarci. Poi ha spedito i camion per spostare le bare delle vittime meritandosi le maledizioni dei familiari. Poi le bugie e le omissioni in Parlamento e quella conferenza stampa imbarazzante. Ieri la débâcle dell’ordine pubblico a Napoli che conferma il sospetto: forte con i deboli, debolissimo con i forti. Che altro deve combinare per dimettersi, Piantedosi?