Alta tensione al Fondo monetario internazionale (Fmi) alle prese con il caso Georgieva. A pochi giorni dal summit che riunirà a Washington i ministri dell’Economia e i governatori delle banche centrali di tutto il mondo, è sempre più traballante la poltrona della direttrice Fmi, la bulgara Kristalina Georgieva, dopo le pesanti accuse sollevate nei suoi confronti di aver favorito la Cina, manipolando alcuni dati, ai tempi in cui sedeva alla Banca Mondiale.
DOPPIA INCHIESTA. All’indagine interna condotta dal board del Fondo si sarebbe aggiunta negli ultimi giorni anche quella del Tesoro americano che, secondo fonti dell’amministrazione Biden, starebbe valutando addirittura l’ipotesi di clamorose dimissioni. Nella stanza del segretario al Tesoro Janet Yellen non si esclude che potrebbero essere proprio gli Usa, maggiori azionisti del Fmi, a chiedere il passo indietro della direttrice. Nessuna conferma ufficiale, per ora, ma un’eloquente affermazione di principio: “L’integrità delle istituzioni internazionali è una priorità assoluta”.
Intanto la Georgieva, ex Commissario europeo per la programmazione finanziaria e il bilancio, si difende respingendo gli addebiti. Sentita dal board del Fondo avrebbe affermato – stando al testo della sua deposizione diffuso dal Financial Times – di non aver “mai fatto pressione per alterare dati o analisi solo per far piacere a un particolare governo” né di aver “mai fatto pressione su nessuno per manipolare dati”. Evidenziando, inoltre, “cinque errori fondamentali” commessi a suo avviso nel rapporto dello studio legale WilmerHale, a cui la Banca Mondiale ha affidato l’inchiesta: “Sono giunti a conclusioni sbagliate sulla base di impressioni e opinioni di persone che non hanno partecipato agli eventi”, ha tagliato corto la Georgieva.
LE ACCUSE. Una versione, però, smentita dalle testimonianze di centinaia di ex dipendenti della Banca Mondiale secondo le quali la politica bulgara sarebbe stata “direttamente coinvolta” nelle manovre per migliorare il posizionamento della Cina nel rapporto Doing Business 2018, confermandola al 78mo posto anziché certificare lo scivolone all’85mo.
Si tratta, in sostanza, del rapporto in cui si misurano i costi sostenuti dalle aziende in base alle leggi e ai regolamenti in 190 Paesi, per stabilire dove sia più conveniente fare impresa. Le presunte pressioni della Georgieva per modificare i dati, aggiunge l’inchiesta, sarebbero state esercitate mentre la Banca mondiale cercava di ottenere l’appoggio di Pechino per un aumento di capitale.