Ieri su Libero è apparso un articolo a firma di Renato Farina che lascia allibiti ed esterrefatti a cominciare dal titolo emblematico: “La ‘ndrangheta ci insegna come possiamo salvarci”. Prendendo lo spunto dai dati pubblicati da un articolo su Il quotidiano del Sud diretto da Roberto Napoletano che a sua volta riportava una intervista a Salvatore Calleri della Fondazione Caponnetto, si viene a sapere che le mafie capitalizzano 3.000 miliardi di euro, il doppio del Pil italiano. Il numero astronomico meraviglia e lascia sgomenti, ma ancora più sgomenti lascia l’interpretazione che Farina dà della cosa.
Naturalmente premette che le mafie sono organizzazioni criminali e criminogene basate sul delitto e la violenza che sono da esecrare, ma poi l’articolo, a partire dallo stesso incredibile titolo, gronda di ammirazione per la struttura manageriale, se così possiamo dire, delle organizzazioni mafiose. A prima vista uno pensa di aver letto male e torna indietro prima al titolo e poi alle conclusioni e poi ancora al titolo, ma in effetti ci si accorge che è tutto corretto.
Insomma Farina ci sta dicendo che le mafie e cioè la mafia siciliana propriamente detta, la ‘ndrangheta calabrese e la camorra campana sono modelli che lo Stato repubblicano dovrebbe imitare perché producono un mare di profitti mentre invece di un mare di debito pubblico. Farina viene folgorato dall’efficienza della struttura mafiosa che i problemi li risolve rapidamente, mica come lo Stato che ci mette anni. E poi i soldi, un oceano di soldi da fare invidia ai paperoni di Forbes, ci dice il giornalista. Da non crederci.
Il lettore attonito ricomincia ad oscillare sul testo per trovare un errore logico in quello che legge perché non ci può credere. Ed invece niente. È scritto proprio così e del resto il titolo non lascia certo dubbi interpretativi. A parte l’abbattimento per quello che si deve leggere cerchiamo di scendere – se possibile – sul piano fattuale della contestazione a quanto scritto. Ebbene, le mafie, se Farina non lo sa glielo diciamo noi, fanno i loro immensi profitti perché praticano l’illegalità al contrario dello Stato di diritto che è quello su cui si basa la nostra Repubblica.
Lo Stato ci mette tempo a fare i processi perché è democratico mentre i “processi” di mafia sono “fatti” da vertici non eletti e senza garanzie per gli “imputati” che se “colpevoli” vengono rapidamente giustiziati. I profitti vengono fatti perché il “crimine paga” per le attività che sono vietate dalla legge a cominciare dallo spaccio di droga, la prostituzione, il gioco d’azzardo, il contrabbando, l’estorsione. Quello che Farina sembra non capire è che la “costituzione mafiosa” è ben diversa dalla Costituzione.
Un articolo pericolosissimo perché di fatto, chi lo legge, se è un populista assatanato o se, le quali cose in genere vanno di pari passo, è una persona sprovvista di strumenti intellettuali, è spinto ad una sorta di ammirazione per le strutture mafiose. Del resto Farina si perita di citare che Gomorra è stato un successone commerciale. E deve Farina ringraziare che la nostra Costituzione tuteli anche lui. E lo invitiamo a pensare a quale sorte andrebbe incontro chi criticasse la mafia qualora vigesse una “costituzione mafiosa”. Gli risparmiamo di citare il finale cementizio tanto per fargli capire le scempiaggini che ha scritto.