Carte deontologiche sepolte in nome degli ascolti o di qualche copia di giornale venduta in più. Va ad inserirsi in questo quadro il tanto discusso servizio di Chi l’ha visto in cui i genitori del fidanzatino di Noemi, la 16enne uccisa in provincia di Lecce, hanno scoperto dall’inviata del programma di Federica Sciarelli il ritrovamento del corpo senza vita della ragazza e la confessione dell’omicidio da parte del figlio. Nessun taglio nemmeno alle reazioni drammatiche di padre e madre del presunto assassino alla comunicazione della notizia. Il comitato di redazione della trasmissione ha difeso così la scelta di mandare in onda integralmente l’intervista ai genitori del fidanzato della ragazza scomparsa: “Le immagini non sono state tagliate dal servizio proprio per completezza d’informazione visto che si era appreso che la procura aveva indagato il padre per concorso in occultamento del cadavere”. Era davvero necessario tutto ciò per fornire un buon servizio pubblico? Sicuramente no, secondo l’Ordine dei giornalisti che ha invitato i colleghi a osservare i doveri deontologici nell’esercizio del diritto di cronaca. “L’ultimo caso che riguarda la trasmissione Chi l’ha visto è il classico caso da non seguire”, ha affermato l’Ordine dei giornalisti, “la cosiddetta tv del dolore quando affronta questi argomenti concede molto alla spettacolarizzazione: tutto ciò è vietato dal nostro codice deontologico”.
Limiti varcati troppo spesso – Non è stata la prima e, purtroppo, nemmeno l’ultima volta che sulla tv pubblica (e non solo) si è deciso di mandare in onda servizi che varcano il confine dell’utilità sociale della notizia. Davvero c’è tanto interesse per servizi del genere? “Che ci siano fasce di pubblico che hanno una vera e propria passione verso questa cronaca spettacolarizzata è fuor di dubbio”, ha spiegato a La Notizia Giorgio Simonelli, docente di storia della radio e della televisione all’Università Cattolica di Milano. Che poi ci sia o no un’utilità sociale è tutt’altro tipo di discorso. E sulla trasmissione in questione il professor Simonelli ha davvero pochi dubbi: “Chi l’ha visto gioca a stare sul filo del rasoio. È una trasmissione che ha conquistato sicuramente meriti sul campo. Ma a volte, forte di questa legittimazione, rischia di andare un po’ oltre il dovuto. Certo, maneggiano una materia particolarmente delicata. Quando però si va a creare un caso, spettacolarizzando la cronaca nera, il rischio è quello di diventare morbosi. Sicuramente Chi l’ha visto lo fa in maniera più educata rispetto ad altri programmi”. Perché dalla tv del dolore siamo circondati, come anche da quotidiani che alzano il tiro gridando titoli che poco hanno a che vedere con la realtà delle cose. Questa gara a chi la spara più grossa o tra chi riesce a mostrare i particolari più scottanti produce, nella maggior parte dei casi, soltanto richiami formali da parte degli organi di controllo. “Credo che si dovrebbe arrivare a un organismo che sanzioni realmente i programmi che sbagliano”, ha affermato Simonelli sollecitato sull’argomento, “Penso a un modello calcistico, con delle squalifiche. E mi spiego meglio: se una trasmissione commette degli errori può essere punita non mandandola in onda per una settimana. Così come un giornale che fa un titolo non veritiero, e di esempi negli ultimi giorni non ne mancano affatto, può essere sanzionato non uscendo in edicola per qualche giorno”. Qualcuno potrebbe parlare di censura. Nient’affatto secondo Simonelli: “Non mi sembra una barbarie, ma una forma di civiltà”.