Dopo i veleni e i dossier, al Csm è arrivata l’ora della verità sul caso Palamara. In giornata, infatti, il destino del pm – sospeso a causa degli incontri carbonari tra toghe e politica – verrà deciso dalla Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura che dovrà decidere se accettare la richiesta di radiazione avanzata ieri dalla procura generale della Cassazione.
Si tratta di un provvedimento a dir poco forte perché, norme alla mano, l’espulsione dalla magistratura è a tutti gli effetti la sanzione massima che può essere inflitta in simili procedimenti. Che le cose sembrano non mettersi bene per Luca Palamara è noto da tempo in quanto il regista dell’incontro all’hotel Champagne di Roma, a cui hanno preso parte cinque ormai ex componenti del Csm e i parlamentari Luca Lotti e Cosimo Maria Ferri, è già stato espulso anche dall’Associazione nazionale magistrati di cui è stato presidente. Per non dimenticare il fatto che, oltre ai guai al Csm e a quelli all’Anm, c’è soprattutto l’inchiesta per corruzione aperta a Perugia e in cui l’uomo dovrà rispondere dei suoi comportamenti nei confronti di colleghi che concorrevano per un posto in diversi uffici giudiziari sparsi in tutto il territorio.
BOTTA E RISPOSTA. Quel che è certo è che secondo quanto sostenuto ieri in aula dal sostituto procuratore generale, Pietro Gaeta, quanto avvenne la sera dell’8 maggio all’hotel Champagne rappresenta “un unicum nella storia della magistratura italiana”. In quell’occasione, come raccontato durante la requisitoria, Palamara ha messo in atto “un indebito condizionamento” delle funzioni del Csm in quanto tentò, con l’aiuto di togati e politici, di “pilotare” le nomine in molte procure a partire da quelle di Roma, dove a breve si sarebbe dovuto decidere l’erede di Giuseppe Pignatone, e quella di Perugia, in cui si voleva tentare di evitare la nomina di Raffaele Cantone.
Accuse ribadite anche nel corso della requisitoria del sostituto procuratore generale della Cassazione, Simone Perelli, che dopo il collega ha rincarato la dose. A suo dire, infatti, Palamara voleva un “procuratore di Perugia addomesticato, che doveva assecondare il sentimento di rivalsa suo e di Lotti nei confronti di Paolo Ielo” ossia il procuratore aggiunto a Roma, dando vita a “una condotta di inaudita gravità”. Lo stesso ha anche smentito le tesi della difesa secondo le quali “non vale invocare il mantra della spartizione correntizia” che sarebbe sempre esistita in quanto appare evidente il “disegno occulto e inconfessabile” di “selezionare candidati che avrebbero dovuto sovvertire le regole dello stato di diritto”.
Accuse respinte al mittente dalla difesa del pm, sostenuta dall’avvocato Stefano Guizzi, che ha sottolineato anche quella che, a loro parere, è stata una forzatura dei tempi del procedimento disciplinare che mirerebbe, sostanzialmente, a fare di Palamara un “capro espiatorio”. A riprova di ciò ci sarebbe l’aver compresso i diritti del proprio assistito opponendosi alla lista di 130 testimoni presentata dalla difesa al solo fine di “non far emergere posizioni che potrebbero coinvolgere altri magistrati”. Ma c’è di più. Sempre per i legali di Palamara, come annunciato ieri prima che l’udienza venisse rinviata a oggi per la sentenza, hanno ribadito ancora una volta che le intercettazioni con Lotti e Ferri non sono utilizzabili e per questo l’avvocato Guizzi ha annunciato un ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo.