Italiani che combattono in Ucraina: chi sono? Aumentano i cittadini stranieri, tra i quali anche quelli italiani, che stanno lasciando le proprie patrie per recarsi in Ucraina e unirsi alle truppe di Kiev. In questo contesto, l’obiettivo di cosiddetti “foreign fighters” che hanno deciso di prendere parte alla guerra in Ucraina consiste nel contrastare la nuova strategia militare messa in campo da Mosca: assediare le città.
Italiani che combattono in Ucraina: chi sono?
Chi sono gli italiani che combattono in Ucraina? I cittadini italiani che si stanno recando a Kiev per arruolarsi possono essere suddivisi in due categorie. Ci sono, infatti, i volontari che hanno deciso di volersi unire alle truppe di Kiev e supportare il popolo assediato dal Cremlino e guidato dal presidente Volodymyr Zelensky e, poi, ci sono i simpatizzanti di Putin che hanno scelto di recarsi nel Donbass e lottare militando tra le file delle milizie separatiste filorusse.
Tra gli italiani impegnati militarmente in Ucraina c’è sicuramente Andrea Palmeri, soprannominato “Generalissimo”. Ha 42 anni ed è di Lucca, ha un passato come leader dei Bulldog, gruppo egemone nella curva ultras della sua città e militante di Forza Nuova. È latitante in Italia e non fa mistero di trovarsi in Ucraina, più precisamente nelle zone delle autoproclamate repubbliche filorusse dove, dal 2014, ha combattuto con le milizie separatiste.
Poi c’è l’ex portiere Ivan Vavassori oppure Massimiliano Cavalleri, 42 anni di Palazzolo, in provincia di Brescia, nome di battaglia Spartaco. Sulla sua pagina Facebook si mostra in combattimento e si vanta di essere stato ferito tre volte. Nel 2018 ha raccontato in un’intervista televisiva: “Prima di arrivare nella Repubblica di Luhansk ero a Donetsk. Ho combattuto all’aeroporto per cinque mesi. Là si sparava bene o male tutti i giorni, con fucili, artiglieria, carri armati… Si sparava con tutto, là”.
Al momento, si sono recati in Ucraina oltre 60 mila “foreign fighters” provenienti da almeno 52 Paesi differenti. Di questi, circa il 3% sono donne come l’italiana Giulia Schiff. La giovane donna, 23 anni, è nota per essere un’ex pilota dell’aeronautica militare che ha avuto il coraggio di denunciare più volte gli atti di nonnismo e mobbing subiti mentre studiava all’Accademia di Pozzuoli. A proposito della scelta di recarsi in Ucraina, l’ex pilota dell’aeronautica militare che sta combattendo a Kiev come volontaria nelle Forze Speciali della Legione Internazionale in Ucraina ha dichiarato: “Sono qua perché non voglio che ci sia la guerra. E se si riesce a fermare qua, a casa non ci arriva. Se resterò fino alla fine della guerra? Sì, non ho in programma di venire via.”
La nota della Farnesina per gli italiani
Sul desiderio degli italiani di prendere le armi e scendere in guerra contro la Russia, è intervenuta la Farnesina.
In merito alle notizie apparse su alcuni organi di informazione relative alla partecipazione di cittadini italiani alla guerra in Ucraina, infatti, la Farnesina ha ricordato in una nota che una simile condotta può essere considerata penalmente rilevante ai sensi della normativa vigente (artt. 244 e 288 del codice penale). In particolare, viene considerato un reato secondo l’articolo 288 del codice penale chi arruola o arma cittadini, perché militino al servizio o a favore dello straniero. È prevista come pena la reclusione da quattro a quindici anni.
A tutela della sicurezza dei cittadini italiani, inoltre, nella sua nota, la Farnesina ha anche fortemente sconsigliato ai cittadini italiani di recarsi nel Paese in guerra, assediato da Mosca.
A questo proposito, inoltre, l’articolo 244 del codice penale prevede che, “chiunque, senza l’approvazione del Governo, fa arruolamenti o compie altri atti ostili contro uno Stato estero, in modo da esporre lo Stato italiano al pericolo di una guerra, è punito con la reclusione da sei a diciotto anni”. Secondo l’articolo 288, “chiunque nel territorio dello Stato e senza approvazione del Governo arruola o arma cittadini (4, 242, 244), perché militino al servizio o a favore dello straniero, è punito con la reclusione da quattro a quindici anni”.