Sono 563. Un numero come tanti, ma a Gaza era il conto di chi non si rassegna al silenzio. Cinquecentosessantatré contatti tra Papa Francesco e la parrocchia della Sacra Famiglia. Telefonate, messaggi, una voce che ogni giorno domandava: “Come è andata la notte?”. Una voce che si faceva presente, ostinata, mentre il resto del mondo voltava lo sguardo altrove.
Ora quella voce non c’è più. Il Papa che ogni sera cercava di rompere la solitudine di Gaza non potrà più chiedere se qualcuno ha visto il giorno spuntare. È morto chi aveva scelto di contare le notti invece che le vittime, di restare nel tempo sospeso tra un bombardamento e l’altro, dove si annida l’umanità che sopravvive.
Padre Gabriel Romanelli, intrappolato fuori dalla Striscia, e Padre Youssef Asaad, rimasto dentro con la sua comunità, conoscono il peso di quelle parole. Perché a Gaza ogni notte è un testimone di resistenza. È in quel buio che Francesco si faceva presente, non con appelli solenni, ma con la costanza di chi sa che il male si sfida solo restando.
Ora resta il numero. Resta la cifra, 563, a dire che non bastava un’udienza, non era sufficiente una dichiarazione. Serviva esserci ogni giorno. Serviva una voce che attraversasse l’assedio.
La voce di Francesco era potente perché sola, perché fragile come le vite che cercava. E Gaza resta così: sola, fragile, dimenticata. La soledad de Gaza esta noche.
563 contatti sono un segno. Non bastano, non cambiano il corso della guerra, ma fanno esistere chi altrimenti sparirebbe. Nelle notti di Gaza non serve un miracolo, basta una voce che tenga aperta la possibilità di essere ascoltati. C’è qualcuno tra i potenti laici disposto a farlo?