Questa sera si recita a soggetto. Non nel senso dell’omonima opera pirandelliana, però. Perché il soggetto in questione è la pioggia di marchette andata in scena ieri nel teatrino parlamentare della legge sui teatri. Che ha visto, alla fine, la luce con 172 voti a favore, 46 contrari e 65 astenuti. Tutto è iniziato con la proposta di legge del capogruppo FdI alla Camera Tommaso Foti per il riconoscimento del teatro di Piacenza (la sua città) come monumento nazionale. A cui si sono accodati una pletora sempre più nutrita di deputati che, tanto per non essere da meno, hanno chiesto analogo riconoscimento per i teatri di casa loro. Finché la situazione – e il numero – non è sfuggita di mano. Al punto da gonfiare sempre di più la lista dei pretendenti, man mano che montavano le rimostranze di questo o di quel territorio. Senza contare gli incidenti diplomatici causati dalla norma. Emblematico il caso Roma, dove l’elenco comprendeva inizialmente il Valle e l’Argentina, lasciando fuori il Teatro dell’Opera, il Sistina e il Brancaccio.
Su il sipario!
Incidenti di percorso che hanno ritardato l’iter della legge fino ad arrivare alla versione definitiva approdata ieri all’esame di Montecitorio: in mancanza di criteri per stabilire il carattere monumentale dei vari teatri disseminati nel Paese, si è arrivati al riconoscimento ufficiale di quella che per il Movimento 5 Stelle altro non è che la “marchettopoli” con la quale si è finito per umiliare un pezzo della cultura italiana. L’elenco è infatti lievitato a 408 teatri che si fregeranno dell’ambito titolo per il solo fatto che la loro “edificazione risalga ad almeno 100 anni”. Senza contare che, a parte il requisito dell’anzianità, inoltre, potranno fregiarsi del titolo di monumento nazionale anche quei teatri la cui programmazione sia “rivolta ad attività di spettacolo dal vivo con il concorso finanziario pubblico” o “il cui edificio sia stato oggetto di verifica dell’interesse culturale con esito positivo o di dichiarazione dell’interesse culturale”.
Così tra i i 408 Teatri che riceveranno la qualifica di “monumento nazionale” risultano, il ripescato in corsa Teatro dell’Opera di Roma con l’Ambra Jovinelli, il Brancaccio, l’Eliseo, il Quirino, il Rossini, la Sala Umberto, il Teatro Torlonia e il Salone Margherita e poi, tra i tanti, il Goldoni , l’Affratellamento il della Pergola, Cestello, Rifredi e il Niccolini di Firenze, il Mercadante e il San Ferdinando di Napoli, il Duse di Bologna e il Filarmonico, Nuovo e Ristori di Verona. Il tutto in profluvio di dichiarazioni a mezzo stampa dei peones di tutta Italia che si vantano del riconoscimento ottenuto per i teatri di mezza Italia. Un magro bottino, tuttavia, visto che la nuova legge non prevede il becco di un quattrino per i teatri, preannunciandosi al contrario una scatola vuota.
Sui teatri schiaffo alla cultura
“Il testo sul riconoscimento di monumento nazionale dei teatri italiano, per come è concepito da questa maggioranza serve solo al parlamentare di turno a gonfiare il petto nel territorio e farsi bello millantando di aver raggiunto chissà quale obiettivo per il proprio teatro cittadino”, ha tagliato corto il vice presidente M5S, Riccardo Ricciardi. “È davvero l’unico motivo. Il teatro e la cultura al contrario non hanno bisogno di vuoti riconoscimenti, ma di soldi – ha aggiunto -. E di cambiare un concetto: quello che con il teatro e con la cultura si debba fare impresa. No, il teatro deve offrire un servizio per tutti, senza la necessità di fare profitto. Come si quantifica d’altronde il valore che dà a un adolescente l’esperienza teatrale? Come si calcola economicamente l’aiuto offerto dal teatro ad esempio a un bambino per superare problemi linguistici e psicologici? Altro che riconoscimenti utili solo ai post sui social di qualche parlamentare! Oggi questa maggioranza sta scrivendo una pagina indegna del Parlamento italiano”. Gli ha fatto eco il collega, Gaetano Amato, per annunciare in Aula il voto contrario del Movimento 5 Stelle.
“Nonostante le contorsioni della maggioranza resta un elenco di ‘marchette’, e non si può mancare in questo modo di rispetto a quell’immenso patrimonio di cultura, tradizione e identità che sono i nostri teatri – hauonato infilando il dito nella piaga -. Questa legge è uno schiaffo in faccia a teatri italiani. Su questo testo dissentiamo sia nel metodo che nel merito. Anziché prevedere un impianto organico fin dall’inizio per la dichiarazione di monumento nazionale, si è proceduto ad aggiungere di volta in volta questo o quel teatro, assecondando i desiderata di questo o quel parlamentare. Ma è questo il modo di procedere?”. Ergo: “La destra conferma tutta la sua arroganza e l’incapacità di scrivere un testo organico o quantomeno di ascoltare i buoni consigli che giungono dall’opposizione – ha aggiunto Amato -. Proprio non riescono a concepire le istituzioni culturali come qualcosa di diverso da strumenti per fare marchette territoriali o per sistemare parenti e amici”.
La farsa dem sui teatri
Ma non finisce qui. In una giornata in cui di monumetale sembra destinato a restare solo un’enorme presa in giro, non poteva mancare l’ultimo teatrino. Quello messo in scena dal Partito democratico. Che in Aula contesta la legge con Nicola Zingaretti: “L’idea di definire i teatri storici monumenti nazionali è una buona idea, ma la legge per ottenere questo risultato è pessima e pasticciata. Una legge seria avrebbe definito criteri chiari e certi, fondi economici a sostegno del teatro e una commissione ad hoc per conferire il titolo. Questa legge è invece solo un’imbarazzante lista di centinaia di nomi”. Ma poi si accoda al Centrodestra nella celebrazione dei successi ottenuti a livello territoriale. Dalla Toscana dove “passano da 10 a 69 i teatri che verranno dichiarati monumento nazionale”, hanno esultato tra gli altri Simona Bonafè, Laura Boldrini e Marco Furfaro. All’Emilia Romagna con Malavasi, Vaccari, Bakkali, Rossi, De Maria, De Micheli, Merola, Gnassi, Guerra che hanno salutato con parole di giubilo il riconoscimento per “ben 59 teatri della regione” della “grande valenza architettonica e culturale del nostro patrimonio”. Giù il sipario!