Che fosse una pessima idea gliel’avevano detto quasi tutti quelli che di cultura se ne occupano per professione ma il ministro Dario Franceschini come al solito ha preferito andare dritto per la sua strada e così il disastro di ItsArt, quella che nelle intenzioni del ministro avrebbe dovuto essere la “Netflix italiana della cultura” ormai è servito.
Che fiasco la Netflix di Franceschini, gli sbagli a catena
Il primo errore era proprio nell’idea di base poiché un mezzo per promuovere la cultura e lo spettacolo dal vivo c’è già, si chiama Rai – su tutte le sue piattaforme – ed è già bello che avviato e ben costoso. La fantasiosa creatura del ministro Franceschini era semplicemente la brutta copia di un qualsiasi canale Rai, con un ulteriore esborso di denaro pubblico che non avrebbe mai comunque potuto garantire un risultato soddisfacente.
Poi c’è l’errore di strategia, anzi probabilmente c’è proprio la mancanza di strategia. ItsArt avrebbe dovuto contare su 30 milioni di euro di partenza ma ne sono arrivati la metà: circa 6,5 milioni di euro versati da Cassa deposito e prestiti, 10 dal ministero dei Beni culturali grazie al decreto Rilancio e altri 6 dalla piattaforma Chili. Che le cose non andassero benissimo lo racconta il fatto che ItsArt abbia cambiato in meno di un anno ben tre amministratori delegati. Ora il bilancio dice che la società ha perso quasi 7,5 milioni di euro nel corso del primo anno (scarso) di attività scialacquando metà della sua liquidità.
Come spiega Andrea Giacobino su Finanzadietrolequinte “al di là del rosso di bilancio è significativo il dato risibile dei ricavi pari a soli 245mila euro a fronte di costi per 7,7 milioni, di cui 898mila euro per il personale. La relazione sulla gestione ricorda che la piattaforma ha una library che contiene oltre 1.400 titoli suddivisi in varie categorie nelle “performing arts” e ha circa 141mila utenti registrati”. Tra l’altro i ricavi sono sostanzialmente sovrastimati visto che i 245 mila euro di ricavi messi a bilancio si compongono di 140 mila euro di “ricavi diretti al consumatore (B2C) per la distribuzione dei contenuti audiovisivi in streaming” e 105 mila euro di “ricavi verso controparti business in modalità di ‘barter transaction’”, ovvero con scambio di servizi con altre aziende. Insomma è un fiasco la Netflix di Franceschini.
E poiché nel bilancio di ItsArt si legge che sarebbero 200mila gli utenti italiani e europei significa che in media ogni utente ha speso in tutto il 2021 70 centesimi. L’idea di Franceschini, partorita durante la pandemia, era di creare “una piattaforma digitale pubblica, a pagamento, la quale possa offrire a tutta Italia e tutto il mondo l’offerta culturale del nostro paese”. Missione fallita. La società da canto suo si dice ottimista, con il presidente che sottolinea “come tale perdita (7,5 milioni, ndr) appaia compatibile con la fase di start-up che ha caratterizzato il primo anno di esercizio» e promette una crescita grazie alla pubblicità e al marketing.
Solo che le previsioni di crescita sono legate – lo scrive la società stessa – alla capacità “di reperire risorse finanziarie che consentano di attuare gli investimenti previsti dal piano” per superare l’“intrinseca incertezza” del mercato e la “pressione competitiva” delle altre piattaforme. Posto che risulta piuttosto improbabile che qualcuno sia disposto a finanziare la versione povera di YouTube e Netflix a questo punto la domanda è scontata: chi metterà altri soldi? Lo Stato, ovviamente, come sempre dalle tasche del ministro Franceschini.