“Con il nuovo piano industriale un contratto come quello di Fabio Fazio non sarebbe pensabile”. Il consigliere d’amministrazione della Rai Giampaolo Rossi non ci gira attorno e lancia una chiara filippica all’indirizzo di Che tempo che fa, dopo l’intervista andata in onda domenica sera al presidente francese Emmanuel Macron e soprattutto alla luce del piano industriale che il nuovo Cda si appresta domani ad approvare.
Per alcuni, però, è stato un “colpaccio” intervistare l’inquilino dell’Eliseo…
“Ovviamente non entro nel merito del taglio editoriale dell’intervista né sulla scelta di intervistare Macron. Rientra nella libertà espressiva del conduttore e dell’autore. Io mi pongo un problema complessivo che riguarda tutte le trasmissioni di intrattenimento della Rai, legandole al tema del pluralismo”.
In che senso?
“Noi abbiamo una grande anomalia. Ci sono programmi di approfondimento che dipendono direttamente dalle testate giornalistiche e quindi sono soggette a tutte le regole della deontologia professionale dei giornalisti. E ci sono invece delle trasmissioni che in realtà fanno anch’esse informazione e approfondimento ma sotto l’etichetta dell’intrattenimento, quindi si sentono in qualche modo svincolate da qualsiasi obbligo, compreso quello del pluralismo che invece dev’essere garantito da contratto di servizio della Rai. Che tempo che fa è una di queste trasmissioni”.
Ecco: crede sia lineare che un politico di tale caratura venga intervistato da un conduttore e non da un giornalista?
“Dai dati che abbiamo nessuna trasmissione Rai è così sbilanciata ideologicamente e nessuna trasmissione della Rai è così condensata in un unico filone ideologico e culturale”.
C’è, dunque, ancora uno squilibrio ideologico all’interno dei programmi Rai?
“In alcuni casi sì e Che tempo che fa è l’esempio più lampante. Al di là di Macron, se vediamo gli ospiti che sono stati invitati da Fazio lungo questa stagione, dall’autunno 2018 ad oggi, lo squilibrio è impressionante: la stragrande maggioranza degli ospiti del mondo politico, giornalistico, culturale ed economico sono quasi esclusivamente appartenenti all’area cosiddetta “di sinistra””.
Ci può fare qualche esempio?
“Pochissimi politici di centrodestra sono stati invitati: nessun politico della Lega, nessun politico di Fratelli d’Italia, di Forza Italia sono stati invitati solo Tajani e Toti. Mentre dall’altra parte abbiamo avuto Renzi, Gentiloni, Letta, i sindaci di sinistra, Gino Strada, Lilli Gruber, Saviano tre volte. Stesso discorso anche per gli economisti: l’unico invitato è stato Cottarelli, mentre non c’è una voce di economia dissonante rispetto a quella dell’establishment. È evidente che c’è un problema di pluralismo reale. Sarà inevitabilmente uno degli elementi su cui verrà giudicato il lavoro di Fazio in vista del prossimo palinsesto”.
Che tempo che fa troverà spazio in vista anche del nuovo piano industriale?
“Io credo che a non avere senso non è tanto il programma, quanto il costo di quel programma. Il contratto che il precedente Cda ha fatto a Fabio Fazio è fuori da ogni regola di mercato e dal mercato televisivo italiano. È un contratto che vincola spaventosamente la Rai ed è troppo oneroso rispetto anche ai risultati che sta ottenendo Fabio Fazio. Ed è un contratto che a mio avviso non premia l’intera filiera dei palinsesti Rai in una fascia fondamentale del servizio pubblico”.
Che è l’obiettivo del nuovo piano in dirittura d’arrivo.
“Non solo. Oggi i veri competitor della Rai non sono quelli di una volta, ovvero i broadcaster lineari, Mediaset o La7 che siano. Ma sono le grandi piattaforme, da Netflix ad Amazon, che stanno disintermediando completamente il mercato e la fruizione dei nuovi contenuti. Il piano industriale ridà piena centralità alla produzione di nuovi contenuti soprattutto in una chiave “multipiattaforma”. E questo garantisce un futuro per l’azienda oltre ovviamente a un miglior controllo economico dei prodotti stessi. Per dirla in breve, con il nuovo piano industriale della Rai un contratto come quello di Fazio non sarebbe pensabile”.