L’importante nel centrodestra è mostrarsi uniti, in maniera martellante, con tanto di foto ricordo da inviare ai media, pur decidendo di non decidere alcunché. Dal Quirinale alle strategie di alleanza per le prossime Amministrative, è tutto rinviato a data da destinarsi. Fatto sta che dietro l’immagine di coesione e cordialità, restano malumori sparsi, in cui ognuno ha i suoi conti da fare. E nessuno è intenzionato a fare passi indietro.
IL SUMMIT. Il vertice, convocato a Villa Grande a Roma (leggi l’articolo), va in archivio rivelandosi ancora più interlocutorio di quanto si potesse immaginare alla vigilia. È stato più un momento per scambiarsi gli auguri che per tracciare una rotta. Ed è stato soprattutto un pomeriggio utile alla visibilità dei leader dei partiti più piccoli, Giovanni Toti (Coraggio Italia), Lorenzo Cesa (Udc) e Maurizio Lupi (Noi con l’Italia), che si sono mostrati al fianco dei tre principali azionisti della coalizione, Silvio Berlusconi, Giorgia Meloni e Matteo Salvini.
Tanto che lo spazio mediatico è stato occupato proprio da loro. Su tutti l’ex ministro Lupi che ha ripetuto la linea: “Qualunque passo lo faremo tutti insieme. Si inizierà a votare dopo il 24 gennaio e credo che quindi dovremo lavorare sulle Regioni per i delegati regionali, per individuare una strada comune, compreso Fratelli d’Italia. Il dato più importante, anche per l’elezione del Colle, è quello che il centrodestra, deciderà insieme il metodo e il nome del candidato”.
A fargli eco, Cesa: “La nostra coesione può e deve fare la differenza sulle scelte più importanti per il futuro del nostro Paese”. L’ostentazione dell’unità si è così trasformata quasi in un’ossessione. Eppure finiti gli scambi di cortesia, si è tornati al punto di partenza, quello delle tensioni irrisolte.
QUIETO VIVERE. Con Salvini nella gabbia del governo Draghi, che subisce la concorrenza di Fratelli d’Italia, che dall’opposizione continua a cannoneggiare contro l’esecutivo per aumentare il capitale di consenso. A discapito di chi? Proprio degli alleati, principalmente la Lega. In mezzo a questa serrata concorrenza resta l’ambizione di Berlusconi, che viene sopportata per quieto vivere da leghisti e meloniani fino a che i numeri non sveleranno l’impossibilità del progetto dell’ex premier.
Eppure, ripetono i berlusconiani più inossidabili, “Berlusconi ha la convinzione di vincere e non bisogna mai scommettergli contro”. Il leader di Forza Italia si è limitato a ripetere la posizione e ufficiale: “Abbiamo rimandato tutto al nuovo anno”, compresa la candidatura per la Presidenza della Repubblica. Parole che servono a prendere tempo e calibrare la sua strategia per arrivare al Quirinale. L’annuncio è stato spostato in un momento più propizio, di certo non quando gli italiani guardano all’arrivo del Natale e l’attenzione mediatica è rivolta alle misure anti-Covid assunte nei giorni di festa.
Dall’incontro di ieri emerge però un elemento di novità: il deterioramento dei rapporti di Forza Italia con Mario Draghi, diventato a tutti gli effetti uno sfidante di Silvio Berlusconi per la corsa al Quirinale (leggi l’articolo), dopo la conferenza stampa di fine anno. Così dietro le dichiarazioni del leader azzurro, rilasciate dopo il vertice, si scorge anche la possibilità di dare vita a un nuovo esecutivo, senza l‘ex presidente della Bce a Palazzo Chigi.
“C’è il problema del 5% delle famiglie italiane che va affrontato il prossimo anno, con questo governo o con un altro governo che verrà”, ha affermato, sibillino, l’ex presidente del Consiglio. Un altro esecutivo è possibile, quindi. Per quale motivo? Draghi non accetterebbe di restare in carica con l’eventuale elezione di Berlusconi al Colle, è il ragionamento dei consiglieri forzisti.
FANTAPOLITICA? Scenari che sembrano fantapolitica, che pure animano il confronto nell’inner circle azzurro, determinato ad alimentare la convinzione che il loro leader possa davvero spuntarla. Anche nelle fila leghiste c’è chi guarda oltre. “Draghi al governo sta facendo un ottimo lavoro, per lo standing internazionale che sta dando al nostro Paese. Se deciderà di candidarsi dovrà avere la garanzia di essere eletto al primo scrutinio”, ha sottolineato il presidente della Regione Veneto, Luca Zaia; che per il dopo Draghi boccia le ipotesi di Marta Cartabia o Daniele Franco alla guida dell’esecutivo. “Difficilmente basterà promuovere un ministro. Sarebbe meglio un nuovo governo, con ministri più autorevoli di alcuni che oggi si stanno rivelando non proprio all’altezza”, ha concluso Zaia.