Centri rimpatri in Albania, il governo non si arrende: nuovo decreto per rimediare al fallimento

Nuovo decreto per i centri albanesi allo studio: trasformarli in Cpr per bypassare i giudici. E cercare di rimediare al fallimento

Centri rimpatri in Albania, il governo non si arrende: nuovo decreto per  rimediare al fallimento

I centri per le persone migranti in Albania avrebbero dovuto essere il fiore all’occhiello della propaganda di Giorgia Meloni. Un deterrente, dicevano. Un modello per l’Europa, ripetevano. Ma oggi, a quasi cinque mesi dalla loro inaugurazione, sono lo specchio di una strategia fallimentare. Le persone trattenute vengono rimandate in Italia nel giro di pochi giorni, i giudici continuano a bocciare le procedure in attesa della pronuncia della Corte di giustizia dell’Unione europea.

Eppure, il governo non sembra intenzionato a prendere atto del fallimento. Al contrario, si prepara a rilanciare con un nuovo decreto che punta a trasformare i centri di Shengjin e Gjader in CPR – Centri di permanenza per i rimpatri – aggirando così i vincoli giudiziari e la necessità di convalida da parte della magistratura italiana.

Un cambio di strategia per aggirare i giudici

Il piano è chiaro: se il problema è la magistratura che non convalida i trattenimenti, la soluzione è eliminare la magistratura dall’equazione. Il governo Meloni starebbe valutando un decreto legge che toglierebbe ai giudici italiani la competenza sui centri albanesi, affidandola direttamente a Tirana. Una mossa che, oltre a essere un’ennesima forzatura giuridica, solleva interrogativi sulle garanzie dei diritti fondamentali delle persone migranti trattenute.

L’idea di trasformare i centri in CPR nasce proprio dalla necessità di evitare che le sezioni immigrazione dei tribunali italiani continuino a bocciare i fermi, come è successo finora. Nei CPR, infatti, le persone trattenute non necessitano della stessa convalida giudiziaria prevista per i centri di prima accoglienza. Il governo pensa così di bypassare i tribunali italiani.

La battaglia politica e il ruolo dell’Unione europea

L’opposizione parla di follia istituzionale e denuncia il continuo spreco di risorse pubbliche per un progetto che si è dimostrato inefficace fin dal primo giorno. Non è un caso che persino all’interno della maggioranza ci siano dubbi sulla percorribilità giuridica dell’operazione. L’accordo con Tirana, ratificato sia dal Parlamento italiano che da quello albanese, non prevede attualmente che persone già presenti sul territorio italiano possano essere trasferite nei centri di detenzione in Albania per essere rimpatriate.

A questo si aggiunge il nodo europeo: il 25 febbraio la Corte di giustizia dell’Unione europea esprimerà un parere sulle attuali modalità di trattenimento nei centri. Un’eventuale bocciatura potrebbe rendere inutile qualsiasi decreto, sancendo l’incompatibilità del piano albanese con il diritto comunitario. Per questo il governo vuole giocare d’anticipo, cercando di modificare la legislazione prima che l’Europa si pronunci.

CPR in Albania: un’operazione insostenibile

Anche sul piano logistico, trasformare i centri in CPR non è affatto semplice. I CPR in Italia sono già oggetto di innumerevoli denunce per le condizioni di trattenimento disumane e per l’altissimo tasso di inefficacia: nel 2023, meno del 10% delle persone trattenute nei CPR italiani è stato effettivamente rimpatriato. Pensare di esportare un modello che non funziona neppure sul territorio nazionale appare come l’ennesima operazione propagandistica, più che una soluzione concreta.

Intanto, mentre il governo continua a cercare scorciatoie, le persone migranti continuano a essere usate come pedine di un gioco politico che si ripete. I CPR albanesi, se mai verranno istituiti, non risolveranno il problema delle espulsioni, né fermeranno gli arrivi. Serviranno solo a nascondere (e prolungare) un fallimento che il governo Meloni si ostina a non voler riconoscere.