Il primo a farne oggetto di dibattito pubblico è stato Alberto Veronesi, candidato del Pd al consiglio regionale della Toscana. “Gira voce – dichiarava qualche giorno fa – che l’on. Susanna Ceccardi (nella foto), in caso di sconfitta nella sfida elettorale contro Giani, si dimetterebbe dal consiglio regionale della Toscana per continuare a fare l’europarlamentare. Sicuramente si tratta di una voce infondata, ma la candidata della Lega ha – in verità – un’inequivocabile opportunità per mettere a tacere le malelingue”. Da qui l’invito: “Si dimetta adesso, oggi stesso, dal Parlamento Europeo e dichiari a tutti la sua intenzione di restare comunque a Firenze a battersi per gli interessi dei suoi elettori toscani, anche dai banchi della minoranza”.
Ovviamente – almeno a quanto risulta a La Notizia – nessuna dichiarazione in merito è sopraggiunta da Susanna Ceccardi. Che ci sia la volontà da parte della salviniana di restare a Bruxelles in caso di sconfitta? Il dubbio è legittimo. Così com’è legittimo anche per altri due candidati presidenti del centrodestra. In Puglia, infatti, è sceso in campo Raffaele Fitto, anche lui europarlamentare. Mentre nelle Marche corre Francesco Acquaroli, al momento deputato a Montecitorio. In tre regioni chiave, dunque, tre eletti altrove. Cioè, detto altrimenti, tre politici votati per svolgere un ruolo ben preciso e che oggi, in barba a qualsiasi promessa fatta al tempo, si ricandidano altrove e per altro ruolo.
Per la Ceccardi, peraltro, non è neanche la prima volta: sindaca di Cascina; poi scelta direttamente da Matteo Salvini che l’ha voluta come sua collaboratrice al Viminale (incarico che ha svolto mantenendo il suo ruolo da prima cittadina); poi dimessasi anzi tempo dal ruolo di sindaca ma solo dopo essere stata eletta al Parlamento europeo; e ora – corsi e ricorsi storici – il dilemma si ripropone: cosa farà la buona Susanna se dovesse malauguratamente perdere alle elezioni regionali? Domanda identica, ovviamente, anche per il candidato presidente pugliese e quello marchigiano.
HISTORIA MAGISTRA VITAE. Le ipotesi e i comportamenti passati – ci spiace – portano tutti a pensare che dichiarazioni sul punto latitano perché così, in caso di sconfitta, nulla di più facile che rinunciare al consiglio regionale per restare chi a Bruxelles e chi a Montecitorio. Gli esempi passati, d’altronde, sono lapalissiani: alle elezioni regionali in Abruzzo il centrodestra candida Marco Marsilio che era già deputato; in Sardegna si vira sul nome di Christian Solinas, che era già senatore. E fin qui tutto bene: i due vincono le elezioni e decidono ovviamente di preferire lo scranno da governatore a quello da parlamentare. In Emilia Romagna, invece, si candida Lucia Borgonzoni, che esce con le ossa rotte dal confronto con Stefano Bonaccini. E cosa fa la leghista? Semplice: rinuncia al posto in minoranza e mantiene il seggio al Senato.
Sarà una questione di soldi? Chissà. Certo che anche su questo punto le differenze sono evidenti. Un europarlamentare porta a casa circa 7mila euro netti al mese (come riportato sul sito istituzionale) più una serie infinita di prebende e benefit, un deputato poco più di 5mila euro netti (più diaria et similia). I consiglieri, invece, circa la metà. Che il gioco per alcuni possa non valere la candela è lecito. Che uno possa candidarsi e poi decidere, in caso di sconfitta, di restare nel ruolo più comodo, è altrettanto lecito dato che la legge non lo impedisce.
Rispetto e lealtà nei confronti del proprio elettorato, però, imporrebbero che si dicesse chiaramente quali siano le intenzioni di ognuno. Perché anche il più fervente meloniano o salviniano si sentirà preso in giro nel momento in cui, in caso di sconfitta, vedrà che la persona a cui ha affidato cuore e voti se ne infischia, sloggia dalla regione che ha girato in lungo e in largo in campagna elettorale e torna a Montecitorio o a Bruxelles. Ovviamente speriamo vivamente di essere smentiti.