I dati sono stati diffusi solo pochi giorni fa e rendono conto, semmai ce ne fosse bisogno, dell’urgenza di una riforma, tanto penale quanto civile, per ridurre il pesante fardello dei procedimenti pendenti. Secondo gli ultimi dati del ministero della Giustizia (che fanno il punto sul 2018) parliamo di un totale di 4.959.426 arretrati. Un numero clamoroso, che è la risultante di 1.507.321 procedimenti pendenti in campo penale e di altri 3.443.105 in ambito civile.
Ma partiamo dall’ambito penale. Sebbene, infatti, negli ultimi anni il trend si mantenga sempre sugli stessi numeri, è impressionante come, allargando l’asse di analisi, il quadro sia progressivamente peggiorato. Nel 2003, per intenderci, il fardello ammontava a 1.338.160 arretrati. In pratica, nel giro di 15 anni le pendenze sono aumentate di 170mila unità. Come si può facilmente immaginare, l’arretrato maggiore arriva dai tribunali ordinari dove abbiamo 1.171.314 processi arretrati (dato, peraltro, in peggioramento rispetto all’anno passato). Ma ecco il punto: questo fardello comporta spese enormi per lo Stato italiano.
Come si sa, infatti, la legge Pinto prevede, nel caso di un processo di durata irragionevole, la possibilità di richiedere un’equa riparazione per il danno patrimoniale o non patrimoniale subito. Ecco, nel 2017 (ultimo anno disponibile) i procedimenti “a rischio Pinto” sono ben 334.385. Di questi 405 sono ultra-annuali in Cassazione; 105mila ultra-biennali in Appello; oltre 222mila, ancora, sono ultra-triennali nei tribunali ordinari. Senza dimenticare, infine, gli ultra-triennali nei tribunali per i minorenni (5.738). A tutto questo – rivelano ancora i dati ministeriali – si aggiunge il pesante aggravio dei procedimenti civili. E anche qui il fardello “a rischio Pinto” è davvero impressionante. I dati questa volta sono riferiti al 2018: 75.206 ultra-annuali in Cassazione, 110.033 ultra-biennali in Appello, 369.436 ultra-triennali in Cassazione.
AL LAVORO. Ed è proprio per limitare e “accorciare” questo incredibile gap che, esattamente come promesso, il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede sta mettendo a punto una riforma che possa tagliare gli arretrati, a cominciare dall’ambito penale. Il Guardasigilli, negli ultimi giorni, non ha fatto mistero del fatto che, dopo gli incontri tra parti e addetti ai lavori, i tecnici del ministero stavano lavorando alla bozza di riforma. E ieri sono cominciate ad uscire le prime indiscrezioni. Indiscrezioni che confermano la volontà di “ribaltare” la macchina giudiziaria per snellirla definitivamente. Uno dei primi aspetti fondamentali, secondo quanto affermato dall’Ansa che ha visionato la bozza della riforma, è la limitazione dei tempi per le indagini preliminari: l’inchiesta potrà andare avanti solo sei mesi per quasi tutti i tipi di reato.
E dunque le inchieste potranno durare al massimo un anno in totale. Attualmente sono possibili tre proroghe, che possono portare a due anni la durata delle indagini preliminari anche per i reati più lievi. Con la riforma le inchieste sui reati puniti con la pena pecuniaria o con la pena detentiva non superiore nel massimo a tre anni potranno durare al massimo un anno, visto che il termine normale è di 6 mesi. Per i reati gravi (mafia o stragi) si potrà arrivare a un anno e 6 mesi. Ma non solo. Perché oltre alla nuova durata delle indagini preliminari ,arrivano sanzioni disciplinari per i pm che per “dolo o negligenza inescusabile” non rispettano la tempistica prevista per la richiesta di archiviazione o di rinvio a giudizio. E ancora: i pm che entro tre mesi dalla scadenza del termine massimo restano inerti, avranno l’obbligo di depositare cioè di “svelare” gli atti di indagine compiuti. E chi non lo farà compirà un illecito disciplinare.