di Vittorio Pezzuto
È colpa della politica che non decide se ieri Marco Pannella e i radicali si sono visti costretti a recarsi in Cassazione per depositare sei quesiti referendari sulla giustizia. Ed è precisa responsabilità dei partiti che lucrano sulle emergenze di questo Paese (trasformandole in vuote parole d’ordine senza mettere mano alle soluzioni) se questi riguardano questioni che si trascinano da trent’anni. Il 9 novembre 1987 la stragrande maggioranza degli italiani (80,5 per cento) rispose infatti con un fragoroso sì! ai tre referendum per una giustizia giusta che proponevano l’abolizione della Commissione Inquirente, del sistema elettorale a liste concorrenti (che determina la formazione di fazioni politiche tra magistrati) per l’elezione dei membri del Consiglio superiore della magistratura e soprattutto delle norme che limitano ai casi di dolo la responsabilità civile del magistrati. Concepiti nell’aprile 1986 da Giovanni Negri, Adelaide Aglietta ed Emilio Vesce per trasformare l’odissea giudiziaria di Enzo Tortora in un’occasione di lotta politica a favore dei diritti di tutti i cittadini, divennero centrali nel dibattito politico, vinsero nelle urne la testarda opposizione della magistratura associata ma vennero traditi in Parlamento da una classe politica corriva all’ordine giudiziario e indifferente alla tragedia della giustizia italiana.
Da allora poco o nulla è cambiato. I problemi principali restano ancora tutti lì, in attesa di una soluzione. I nostri politici, si sa, scoprono cosa sia il carcere solo quando ci finiscono dentro. I nuovi referendum radicali propongono adesso la responsabilità civile del magistrati (rendendo più agevole per il cittadino l’esercizio dell’azione civile risarcitoria indiretta nei loro confronti, anche per i danni da questi cagionati nell’attività di interpretazione delle norme di diritto o nella valutazione dei fatti e delle prove), la separazione delle carriere dei magistrati inquirenti e di quelli giudicanti, la cessazione del fenomeno dei magistrati cosiddetti “fuori ruolo” che sono collocati al vertice dei gabinetti e degli uffici legislativi dei Ministeri (così garantendo una vera separazione dei poteri ed eliminando la commistione tra magistratura e alta amministrazione), l’eliminazione della custodia cautelare per il rischio di reiterazione nel caso di reati non gravi e infine l’abolizione dell’ergastolo (propongono che la pena massima sia di 30 anni di reclusione).
Scoppia la lite in casa Pdl
Che quelle poste dai nuovi referendum radicali siano questioni decisive per una seria riforma della giustizia lo certificherà – scommettiamo? – il silenzio unanime della stampa e degli partiti, pronti invece a dividersi con dichiarazioni infuocate su questioni tutto sommato marginali. La commissione Giustizia del Senato si riunisce ad esempio questo pomeriggio in sede referente per iniziare a discutere tra l’altro di un disegno di legge proposto dal suo presidente Francesco Nitto Palma (Pdl). Il testo, composto di soli tre articoli, reca come titolo “Disposizioni in materia disciplinare dei magistrati e di trasferimento d’ufficio” e prevede che per i procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della legge scatti una sospensione di 6 mesi se i pm titolari vengono sottoposti a procedimento disciplinare per esternazioni che ne pregiudichino l’imparzialità o qualora assumano qualsiasi altro comportamento che non li faccia apparire tali. Battezzata subito come il “ddl blocca-processi”, questa iniziativa è stata subito criticata dall’Associazione nazionale magistrati («Esprimiamo preoccupazione e vivo allarme») e bollata come l’ennesimo escamotage per aiutare il Cavaliere a sfuggire alle probabili condanne definitive nei processi Mediaset e Ruby. Tanto che la sortita di Nitto Palma non convince nemmeno il coordinatore del partito Sandro Bondi: «Non è questa la strada maestra per riformare la giustizia. Semmai è la strada più facile per creare ulteriori problemi al presidente Silvio Berlusconi». Parole che hanno provocato la piccata reazione di Nitto Palma: «Questa cosa è vergognosamente falsa: nel ddl non c’è nessun riferimento ai processi penali in corso. Questa norma è a tutela dei magistrati. Sono allibito e indignato da ogni altra lettura».
Si annuncia puntuale l’ennesimo, sterile polverone mediatico. E intanto la giustizia attende di diventare giusta.