Sta per andare via (forse) ma fino all’ultimo la società controllata dai Benetton che gestisce gran parte delle autostrade italiane tenta di far soldi, e ieri è riuscita ad avere l’ennesimo via libera a un aumento dei pedaggi. Una pretesa che non si tradurrà necessariamente in un nuovo salasso al casello perché l’Autorità pubblica che decide non ha accolto interamente la pretesa di Autostrade per l’Italia, concedendo un aumento medio delle tariffe dell’1%, a fronte di una richiesta dell’1,7%. Perché questi aumenti stiano così a cuore ai manager indicati dai Benetton è un mistero se si prendono per buone le intenzioni di Atlantia, la holding che sta a capo della società concessionaria, che lunedì dovrebbe ricevere una proposta (per quanto probabilmente non vincolante) di acquisto dell’intero pacchetto dell’88% da parte di una cordata con a capo la Cassa Depositi e Prestiti (Cdp), insieme ai fondi d’investimento Blackstone e a quanto pare Macquarie (socio di Benetton negli Aeroporti di Roma) e F2I.
All’operazione partecipa pure un qualificato pool di banche nazionali, secondo uno schema che domani Cdp dovrebbe definire in un apposito Consiglio di amministrazione. Se tutto andrà come nei piani, i Benetton usciranno da un affare confezionato su misura per loro, che ha garantito ai privati enormi guadagni per decenni, a fronte di poche manutenzioni (emblematico il crollo del ponte Morandi di Genova) e pedaggi per gli automobilisti tra i più cari d’Europa.
Tale uscita di scena, inevitabile a fronte delle contestazioni mosse dal Governo e che scongiura la revoca della concessione, con una conseguente interminabile battaglia legale, non sarà un esproprio, a dimostrazione che la libertà d’impresa in questo Paese è sempre tutelata, anche di fronte ad imprenditori dai comportamenti discutibili, com’è discutibile la resistenza opposta da Autostrade a questo epilogo sin dal momento del disastro del viadotto Polcevera, prima con l’opposizione rispetto alla legittima richiesta dello Stato di farlo ricostruire ad altri, poi allungando a dismisura i tempi delle perizie e quindi del processo sul disastro di Genova, con l’appendice della disponibilità offerta e mai concretizzata di entrare nel capitale di Alitalia, sino a via vai di lettere col Governo e la Cdp sulla vendita ormai apparentemente a portata di mano.
Un esito sul quale è di rigore usare il condizionale, perché al di là delle reiterate dichiarazioni di disponibilità la società dei Benetton ha mostrato più volte comportamenti ambigui, sino all’ultimo ostacolo individuato con la richiesta di inserire nella vendita delle quote la manleva per i fatti proprio di Genova. Una richiesta senza senso (quel danno non può pagarlo la parte pubblica) e inusuale nelle cessioni di titoli di tale portata. Pur tuttavia la Cassa Depositi guidata da Fabrizio Palermo non si è sottratta a un preciso mandato del Governo e dell’azionista Mef, e ha trovato la soluzione che può chiudere la vicenda, lasciando in tasca ai Benetton tra i 2,5 e i 3 miliardi, ma creando anche le condizioni per avere in futuro autostrade migliori.