di Vittorio Pezzuto
Non è certo un buon segno che la politica italiana abbia fatto ieri il girotondo intorno alle avventate dichiarazioni del senatore Luigi Zanda. Se non altro perché la tesi giuridica per la quale il sei volte eletto e il tre volte premier Silvio Berlusconi sia ineleggibile appare poco più di una bischerata. L’articolo 10 del Dpr n. 361 del 30 marzo 1957 («Non sono eleggibili coloro che risultino vincolati con lo Stato per concessioni o autorizzazioni amministrative di notevole entità economica») venne infatti concepito per estendere a livello nazionale quel regime di ineleggibilità che già esisteva a livello locale per i titolari di una concessione. Quest’ultima non è altro che un atto amministrativo con il quale viene concesso a un privato l’utilizzo in esclusiva di un bene della collettività (ad esempio la gestione di una porzione di spiaggia). Si voleva così evitare che potesse diventare deputato un signore già scelto dalla politica quale presidente di una società pubblica che gestiva un monopolio (come nel caso delle Ferrovie dello Stato che un tempo avevano in esclusiva l’utilizzo dei binari).
Quello che però pochi sanno è che questo famoso articolo 10 non è mai stato applicabile al settore radiotelevisivo. Con l’introduzione nel 1991 della legge Mammì, le frequenze non sono state infatti concesse con un atto amministrativo per la semplice ragione che all’epoca non fu mai completato l’iter del piano delle frequenze. Venne invece redatto un semplice elenco – denominato “elenco delle concessionari” – nel quale comparivano le reti Fininvest e che tutto era tranne un atto di concessione, dal momento che il bene limitato e pubblico non veniva assegnato.
Armi ormai inservibili
Al senatore Zanda e ai suoi volenterosi gregari andrebbe chiesto perché a metà degli anni Novanta la sinistra non ha posto la questione dell’ineleggibilità anche nei confronti di Vittorio Cecchi Gori, senatore del Ppi e proprietario delle reti Videomusic e Telemontecarlo. Ma sarebbe esercizio vacuo. Tutto questo è ormai storia e le stesse argomentazioni del capogruppo del Pd sono armi ormai inservibili, e per un ottimo motivo: le concessioni nel settore tv non esistono più. Da una dozzina d’anni la normativa italiana si è dovuta adeguare alla disciplina comunitaria e questa non prevede più l’istituto della concessione. E’ cioè cambiata la natura giuridica delle frequenze radioelettriche, che vengono considerate non più come un bene dello Stato concesso a privati ma come un bene comune il cui utilizzo ottimale lo Stato deve limitarsi a garantire.
La sortita incendiaria di Zanda non raccoglie nemmeno il consenso di autorevoli costituzionalisti. Per Fulco Lanchester, ordinario di Diritto costituzionale italiano e comparato all’Università La Sapienza, «riaprire questo problema a distanza di vent’anni significa innescare una bomba atomica che può dissolvere l’intero sistema. Anche perché per la Giunta delle elezioni sarebbe davvero difficile modificare la propria giurisprudenza dopo che sono stati adottati così tanti precedenti di segno opposto». Ancora più netto il giudizio di Beniamino Caravita di Toritto, ordinario di Diritto pubblico alla Sapienza: «Mi sembra impensabile che dopo cinque pronunce consecutive della Camera a favore dell’eleggibilità di Silvio Berlusconi, la giunta delle elezioni del Senato possa adesso decidere altrimenti solo perché è intervenuto un mutamento politico della sua maggioranza. Un pronunciamento di questo tipo sarebbe così grave da aprire la strada a scenari inimmaginabili. E credo che in questa malaugurata ipotesi dovrebbero essere esperiti tutti i rimedi giudiziari: nazionali e internazionali».