di Stefano Sansonetti
Non è solo questione di riposizionamenti o singole ambizioni. In ballo ci sono i veri assetti di potere, quelli che a volte vanno oltre la conquista di una poltrona di Governo. Il 4 marzo, data delle elezioni, si avvicina. Ma certi profili hanno bisogno di muoversi per tempo, sfruttando leve di comando nella speranza che risultino vincenti. A urne archiviate, una delle partite da giocare immediatamente sarà quella per i nuovi vertici della Cassa Depositi e Prestiti, controllata dal Tesoro. E’ appena il caso di ricordare che oggi le poltrone di presidente e Ad sono occupate da manager nominati dall’allora Governo di Matteo Renzi. Negli ultimi giorni il lavorìo sottotraccia vede in campo diversi protagonisti. L’attuale presidente, Claudio Costamagna, sta procedendo con i piedi di piombo per capire fino all’ultimo se ci sono i margini per mantenere l’incarico.
LE MOSSE – L’ipotesi non gli dispiacerebbe affatto. E in questa direzione potrebbe sfruttare due sponde: quella di Gianni Letta, a maggior ragione se quest’ultimo verrà a ritrovarsi nella stanza dei bottoni, e quella di un contatto di lunga data di Costamagna, Luigi Bisignani, sempre presente quando si tratta di suggerire certi equilibri. Lo stesso Bisignani, per dire, è stato uno dei principali sponsor di Salvatore Sardo, da poco nominato direttore operativo della Cdp. Costamagna, di cui La Notizia ha svelato il maxi affare da 36 milioni di euro derivanti dalla cessione delle sue azioni in AAA, società quotata negli Stati Uniti, ha trascorsi quasi ventennali in Goldman Sachs ed è stato presidente di Salini Impregilo. Nel caso la sua permanenza non si perfezionasse, è già pronta una lista di profili che subentrerebbero molto volentieri alla presidenza della Cdp. Uno di questi e Massimo Mucchetti (Pd), già firma del Corriere e poi presidente della Commissione industria del Senato. Mucchetti, in particolare, è accreditato di buoni rapporti con Giuseppe Guzzetti, dominus delle fondazioni azioniste di Cassa, e con Giovanni Bazoli, presidente emerito di Intesa Sanpaolo. Un altro che gradirebbe la presidenza di Cdp è Gaetano Miccichè, già Dg di Intesa e oggi presidente della controllata Banca Imi. Tra chi coltiva speranze, secondo alcuni “residuali”, c’è Alessandro Profumo, oggi in grande difficoltà in Leonardo. Infine si registrano le mosse di altri due profili. Negli ultimi giorni, a quanto pare direttamente con il premier Paolo Gentiloni, si è fatto vivo Franco Bassanini, presidente di Open Fiber, il quale sta spingendo molto per tornare alla presidenza di Cdp (che già aveva occupato). Poi c’è Fabrizio Palenzona, da molti dato in fase declinante (è anche uscito da Unicredit), che però starebbe tentando il colpaccio in Cdp sfruttando il rapporto con Giovanni Quaglia, presidente della Fondazione Crt di Torino, una delle azioniste di Cassa.
STRATEGIE – Per quanto riguarda la poltrona di amministratore delegato, invece, viene data per certa l’uscita di Fabio Gallia, che era giunto dalla Bnl. Chi ne prenderà il posto? Il candidato numero uno è l’attuale Ad di Invitalia, Domenico Arcuri, che alla pratica lavora da tempo. Tra l’altro ha recentemente promosso come Ad del Mediocredito Centrale, controllato da Invitalia, Bernardo Mattarella, nipote del presidente della repubblica. Un “segnale” che potrebbe tornare utile. Un ulteriore identikit porta a Dario Scannapieco, vicepresidente della Banca europea degli investimenti). Profilo internazionale, già capo della Direzione del Tesoro su finanza e privatizzazioni, Scannapieco ha dalla sua la stima del presidente della Bce, Mario Draghi. Per il ruolo di Ad si fa anche il nome di un manager molto stimato in Cdp, il direttore finanziario Fabrizio Palermo. Infine nel gruppo Cassa si registrano fibrillazioni su Alessandro Decio, Ad della controllata Sace (export credit): pare non abbia il gradimento di diverse industrie pesanti, che ne contesterebbero la gestione troppo timida dei rischi. E per questo auspicherebbero un ricambio.
ENI – Altra partita immane potrebbe diventare quella per l’Eni. Ormai in pochi fingono di accantonare il problema. Il fatto certo, qualunque sfumatura si voglia dare alla questione, è che la situazione di Claudio Descalzi al vertice dell’Eni è a dir poco pericolante. Nominato una prima volta Ad del Cane a sei zampe dal Governo Renzi nel 2014, il manager è stato confermato nel 2017 dall’Esecutivo di Paolo Gentiloni. Il suo mandato, quindi, non è formalmente in scadenza. Nel frattempo, però, è successo di tutto: prima il rinvio a giudizio per la questione delle presunte tangenti nigeriane; poi l’esplosione della vicenda del presunto depistaggio messo in atto da alcuni ex esponenti dell’azienda per annacquare la stessa inchiesta sull’affaire nigeriano; infine lo stop turco imposto a una nave Saipem, partecipata al 30,5% proprio dall’Eni, nelle acque intorno a Cipro. Insomma, si sta facendo strada la convinzione che per Descalzi sarà difficile resistere sulla tolda di comando del gruppo petrolifero. Al punto che nelle retrovie si sta già muovendo chi vorrebbe prenderne il posto. Una lettura semplificata, forse anche un po’ suggestiva, vuole che all’Eni ci siano due cordate: quella “bernabiana”, dal nome dell’ex Ad Franco Bernabè, e quella “scaroniana” o “bisignaniana”, dai nomi dell’altro ex Ad, Paolo Scaroni, e del lobbista Luigi Bisignani, a lui molto vicino. Ebbene, in questo momento il manager che più si sta attivando per prendere il posto di Descalzi sarebbe Stefano Cao, attuale Ad di Saipem. Già in Eni dal 2000 al 2008 come capo della Divisione “Exploration and Production”, Cao in realtà vanta nel gruppo trascorsi ancor più risalenti nel tempo, visto che dal 1976 al 2000 è stato proprio in Saipem. Vicino ai “bernabiani”, anche se non inquadrabile sic et simpliciter nella categoria, Cao godrebbe di un consenso trasversale. Il che lo renderebbe un candidato molto forte nel caso in cui per Descalzi la situazione diventasse insostenibile. Dal canto loro gli “scaroniani-bisignaniani” hanno come manager di punta Marco Alverà, in questo momento Ad di Snam (che però fa capo alla Cassa Depositi e Prestiti). Anche Alverà, in questa fase a dir poco magmatica, sta sondando il terreno per capire quanti margini di movimento ci siano. Di sicuro, una volta archiviata la tornata elettorale, l’Eni potrebbe rappresentare per il nuovo Governo un primo, enorme banco di prova. E non potrebbe essere diversamente, per la più importante società italiana.