Non c’è niente da fare. Quando a Palazzo Chigi parlano di Cassa depositi e prestiti pensano sempre a un bancomat. Una macchina sputa-soldi per le emergenze. Un modo per intervenire nelle partite economiche politicamente più delicate facendo finta di non impegnare soldi pubblici e beffando l’Unione europea, visto che la Cdp, che gestisce il risparmio postale degli italiani, formalmente è fuori dal perimetro del bilancio pubblico e, ovviamente, anche del debito. E in questa fase il problema che fa più paura a Matteo Renzi è che gli esploda tra le mani una nuova crisi bancaria, dopo quella delle piccole Popolari capitanate da quella dell’Etruria. L’allarme riguarda la Popolare di Vicenza, Veneto Banca, Monte dei Paschi di Siena e, in maniera minore, la Carige. A Palazzo Chigi non vogliono default bancari perchè sanno che sono anche terribilmente impopolari, visto che con le nuove regole europee sui bail-in ci rimettono anche i correntisti. E sono voti.
INGEGNERIE
Così ecco che riprende quota il progetto di utilizzare proprio la Cdp, da novembre affidata a due banchieri esperti come Claudio Costamagna e Fabio Gallia, per salvare gli istituti in difficoltà. Il progetto che circola, formalmente non ha un padre. Ma ha sicuramente un mandante e un facilitatore. Il primo è Renzi e il secondo è Giuseppe Guzzetti, l’inossidabile presidente della fondazione Cariplo e delle fondazioni bancarie tutte, che tra l’altro hanno circa il 18% della Cdp. L’idea è quella di costituire un veicolo societario che faccia da contenitore di una serie di crediti insolventi, magari alleggerendo il tutto anche con qualche attivo di buona qualità. In questa operazione servirebbero capitali freschi, che arriverebbero dalle fondazioni e da fondi esteri specializzati. Guzzetti si spende molto per questa soluzione, e lo fa con due cappelli: quello dell’azionista di banche e quello dell’azionista di rilievo di Cdp. Ma siamo sicuri che l’operazione sia positiva per la Cassa? Costamagna e Gallia hanno seri dubbi, anche se ovviamente si guardano bene dal polemizzare su quelli che al momento sono solo ballon d’essai. Al Tesoro, azionista di maggioranza, non condividono l’entusiasmo di Palazzo Chigi perchè temono che venga snaturata la Cdp, che per statuto deve investire in ben altri settori, a cominciare dalle infrastrutture. E poi chi oggi venisse chiamato a mettere i soldi nel nuovo veicolo salva-banche non avrebbe alcuna certezza sulla governance. Insomma, si chiedono anche in Cdp, ma chi comanderebbe? Vi sono poi altre questioni potenzialmente esplosive per la Cassa, come il fatto che bisognerebbe discutere con Bankitalia e con la Bce se la società diventerebbe soggetta a vigilanza bancaria, il che sarebbe un cambio di pelle radicale. Identico problema si porrebbe anche se la Cdp rilevasse una quota delle Poste, che in pancia ha una banca. Ma chissà se il ministro Pier Carlo Padoan riuscirà a dire un “no” al suo premier.