Nella grande bagarre del “ritorno al lavoro” del governo un capitolo a parte merita, senza dubbio, l’arresto della giornalista Cecilia Sala, incarcerata dal 19 dicembre nella prigione di Evin, in Iran. Una vicenda intricata, che ha avuto ripercussioni sia sull’addio di Elisabetta Belloni al Dis (la sua estromissione da qualunque ruolo nelle trattative è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, spingendo l’ambasciatrice alle dimissioni), sia sul governo, per l’attivismo dimostrato da Giorgia Meloni.
In particolare, sarebbero forti i malumori suscitati nei due vice-presidenti del Consiglio, Antonio Tajani e Matteo Salvini, dal viaggio-lampo di Meloni negli Usa, alla corte di Donald Trump, durante il quale i due leader avrebbero parlato direttamente del caso-Sala.
Sala-Adebini: destini uniti, anche se l’Iran nega
Un destino, quello della giornalista, legato a doppio filo a quello di Mohammed Adebini Najafabadi, l’ingegnere meccanico svizzero-iraniano arrestato lo scorso 16 dicembre a Malpensa su richiesta di Washington, con le accuse di cospirazione, associazione a delinquere e violazione delle leggi sul commercio di materiale dual-use civile e militare con l’Iran. Anche se Teheran continua a negare ogni possibile relazione.
Martedì la portavoce del governo iraniano, Fatemeh Mohajerani ha riferito di augurarsi che il caso Sala “venga risolto”. L’arresto della giornalista “non è una ritorsione” attuata dal regime di Ali Khamenei per forzare la mano sul governo italiano affinché liberi Abedini, perché “questo fatto non ha nulla a che vedere con altre questioni”, ha aggiunto Mohajerani. Lunedì, era stato il portavoce del ministero degli Esteri della Repubblica islamica, Esmaeil Baghaei, a sostenere che “non esiste alcun collegamento” con l’arresto di Abedini
Nessuna marcia indietro dalla Procura generale di Milano
Intanto alla Procura generale di Milano non è arrivato alcun nuovo documento dagli Stati Uniti riguardante Adebini in vista della prima udienza per l’estradizione fissata per il 15 gennaio. La Procuratrice generale Francesca Nanni per il momento non ha modificato il proprio “parere negativo” rispetto alla richiesta di domiciliari, presentata alla quinta sezione della Corte d’appello dall’avvocato Alfredo De Francesco, che assiste il 38enne, accusato dagli Usa di aver utilizzato la propria società svizzera “Illumove” per permettere a Teheran di installare tecnologia sui droni in uso al Corpo dei Guardiani della Rivoluzione e in particolare sul drone che il 28 gennaio 2024 ha colpito una base in Giordania e ucciso tre soldati americani.
Nanni ha ritenuto che “la messa a disposizione di un appartamento e il sostegno economico da parte del Consolato dell’Iran” con “eventuali divieto di espatrio e obbligo di firma” non siano un’idonea garanzia per “contrastare il pericolo di fuga” dell’ingegnere.
Rimane ferma, per ora anche l’indagine assegnata dal Procuratore di Milano all’aggiunto Eugenio Fusco sull’arresto di Abedini. È stata aperta, come da prassi, a modello 45 (senza indagati né ipotesi di reato) a seguito della comunicazione da parte della sezione antiterrorismo della Digos di Milano e da personale dell’Ufficio di Polizia di frontiera in servizio a Malpensa dell’esecuzione di un arresto ai fini estradizionale dell’iraniano con passaporto svizzero. Da quanto si apprende al momento gli inquirenti non hanno ‘esigenze’ investigative immediate. Sull’eventuale scarcerazione ed estradizione di Adedini l’ultima parola spetterà al ministro Carlo Nordio.
Il sit-in di Stampa Romana per la Sala
Sempre martedì da registrare il sit-in organizzato dall’Associazione Stampa Romana in piazza Santi Apostoli a Roma: “La nostra è una richiesta di liberazione e una manifestazione di solidarietà, non ha nulla a che vedere con il silenzio stampa chiesto dalla famiglia di Cecilia Sala” ha detto Stefano Ferrante, segretario dell’associazione. “Vogliamo manifestare la vicinanza di una comunità di giornalisti a questa collega che è detenuta ingiustamente in condizioni inaccettabili”, ha concluso.